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Paolo Rumiz e la Regola di San Benedetto per riscoprire le radici dell’Europa

09 febbraio 2023

Paolo Rumiz e la Regola di San Benedetto per riscoprire le radici dell’Europa

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La regola benedettina per riscoprire le radici dell’Europa. Si, perché il monachesimo ha ancora qualcosa da dire. Ne è convinto il giornalista e scrittore Paolo Rumiz intervenuto nella sede di Brescia dell’Università Cattolica per presentare il libro “Il filo infinito”, in dialogo con Nicolangelo D’Acunto, direttore del Centro Studi sugli insediamenti monastici europei (Cesime).

«Riconoscere l’originalità dei principi della Regola potrebbe evitare all’Europa il rischio di perdersi come sta succedendo in questi anni. Bisogna trattare gli immigrati da hostis hospes come fecero i benedettini con le orde barbariche che arrivarono dall’Asia e che avevano un’idea di cittadinanza diversa dalla nostra. Qui incontravano strani uomini vestiti di bianco o di nero, privi di armi, che offrivano loro cibo e poi li invitavano ad ascoltare i loro canti. Uno shock culturale per entrambi. L'accoglienza avveniva all'interno del recinto del monastero, un luogo ospitale, ma in cui vigeva l'accettazione della regola. E non si trattò di scontro ma di incontro».


Per Rumiz l'Europa dovrebbe essere una confraternita di nazioni con regole comuni, ma dove ciascuno porta la propria identità. L'accettazione dell'alterità è la grande lezione del monachesimo benedettino; quello che lo ha reso ben accetto agli europei mediterranei meno inclini all'intransigenza dei «terribili monaci irlandesi» che imponeva regole senza deroghe. Nella Regola si può trovare l’idea di libertà e di democrazia: l'abate, capo del monastero, era eletto da tutti i monaci che lo abitavano; tutti venivano ascoltati e quando l'abate capiva che la sua presenza creava attriti si dimetteva in modo che il cenobio potesse recuperare l'equilibrio perduto.

Davanti a un’aula colma ed attenta il viaggiatore Rumiz racconta del suo incontro con Benedetto, avvenuta sulla linea di faglia del terremoto di Amatrice. «Nella piazza piena di macerie mi sono trovato difronte alla statua intatta del Santo; mi guardava e mi indicava qualcosa sebbene io non sapessi niente di lui. Cosa voleva dirmi? Che l’Europa sarebbe andata in macerie (terza guerra mondiale) o che si poteva salvare riscoprendo la Regola?».

Da qui l’inizio del viaggio per i monasteri dei Europa per capire come fecero a cristianizzare i barbari, a insegnare a lavorare e a pregare, ad essere un esempio di resilienza in un periodo buio della storia. Il cercatore triestino non si è fermato nemmeno con il Covid. “Ho viaggiato fra i muri della mia casa, in Slovenia, grazie ai miei libri, guardando il sole che sorgeva e gli uccelli che migravano. Certamente mi è mancato ascoltare la voce della strada come facevo nei miei lunghi viaggi”.

Racconta anche del suo incontro con Papa Francesco e dell'importanza del canto nel rito: «Non è possibile che i preti siano stonati. Il canto non è un additivo alla preghiera. È la preghiera in sé. E in assenza di canto non si crea la comunità orante».

Un articolo di

Antonella Olivari

Antonella Olivari

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