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Parsi e i “vulnerabili”: come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo

09 aprile 2021

Parsi e i “vulnerabili”: come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo

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Le crisi portano con sé sempre grandi cambiamenti, o almeno questa dovrebbe essere la prassi. Perché è quando si tocca il fondo che si prende coscienza dei propri limiti, degli errori commessi, dai quali si può trarre preziose indicazioni per ripensare e ridisegnare il futuro. È per questo motivo che un evento soverchiante come l’attuale pandemia, con i suoi nefasti effetti a livello sanitario, economico e sociale, può paradossalmente diventare una tragica, e allo stesso tempo straordinaria, opportunità di riflessione e cambiamento.

«D’altronde in barca a vela le mura si cambiano quando la vela inizia a sfiammare, non certo con il vento a favore che ti sospinge», puntualizza Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica e direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI), che con questa metafora presa in partito dal mondo delle imbarcazioni ci ricorda le sfide e le occasioni di rinnovamento che la pandemia ci offre.

Il Covid-19 ha messo a nudo l’incontrovertibile fragilità dell’uomo di fronte alla complessità dell’ecosistema terrestre e la fallibilità del sistema globale che ha costruito, «estremamente interconnesso ma privo di regole efficaci per proteggersi dagli shock». È proprio da questa premessa che si dipana il nuovo libro del professor Parsi dal titolo “Vulnerabili, come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo”, dedicato alle possibili conseguenze, sul piano interno ed internazionale, di questo shock esogeno. Le quali potrebbero giocare un ruolo chiave nel «rilanciare la democrazia contro gli eccessi della finanza e il rischio di un nuovo autoritarismo».

Per farlo occorre prendere coscienza di questa nostra fragilità rispetto al sistema globalizzato «Quella struttura artificiale - spiega Parsi - che abbiamo eretto proprio noi, sulla carta per potenziare le nostre capacità, ma che in realtà è servita per rinvigorire il potere e le ricchezze di chi è al vertice di una simile impalcatura».

Si tratta di un mondo progettato senza tenere conto della sua componente più vulnerabile, ovvero gli esseri umani. Una realtà iperconnessa, in cui però viene prima “l’interdipendenza delle cose” dell’interdipendenza delle persone, dove il valore viene attribuito in base alla mobilità, alla facilità di spostamento: «Un mondo – aggiunge Parsi - per cui le informazioni (i big data) sono in cima alla scala, seguite dal denaro sempre più finanziarizzato, poi dalle merci (la cui rilevanza l’abbiamo toccata con mano con la recente vicenda del Canale di Suez) e infine dalla forza lavoro».

Perché le donne e gli uomini erano e sono valutati in base alla mansione che svolgono. «E, addirittura, rispetto a un tempo, persino in quanto consumatori non veniamo più considerati. Perché in un’economia dominata dalla finanza, i soldi si possono fare benissimo e tanti - ma sempre più per pochi - scommettendo sulla scommessa della scommessa (derivati finanziari), senza poi andare a vedere le carte, come si dice in gergo».

Detto in altre parole: il sistema complesso che l’essere umano ha progettato e costruito negli ultimi 40 anni volutamente trascura l’elementare massima per cui la resistenza dell’intera struttura è dettata da quella del suo elemento più vulnerabile. Utilizzando invece il linguaggio nautico, «una nave in cui la protezione dell’equipaggio viene contemplata come un lusso, un costo che si deve limare, in nome di quell’efficienza che è diventata il criterio guida della nostra società, a scapito dell’efficacia».

Parsi, di contro, suggerisce di ripensare l’interdipendenza «mettendo al centro l’essere umano e la sua protezione», perché solo partendo dagli elementi più deboli si può pensare di ricostruire un sistema più forte e più equo. Un compito e una responsabilità che deve tornare ad essere appannaggio della politica, ma che necessita anche di uno slancio da parte nostra, perché siamo noi a dover chiedere, a pretendere, che i leader politici ci propongano un futuro che immaginano per noi, che rappresenti le nostre istanze e i nostri diritti.

«Immaginano, non prevedono - sottolinea Parsi - solo nell’immaginare classe dirigente e popolo sono insieme parte attiva del cambiamento. Solo nell’immaginare si porta a compimento il processo democratico». Ma l’immaginazione da sola non basta: c’è prima il confronto, la 'pugna' per la leadership, per dimostrare la bontà delle idee in cui si crede: «È così che si saldano i tempi della politica, il futuro come luogo disegnato e desiderato e il presente come competizione per il controllo del potere, del processo per arrivare a quello scenario prefigurato».

«Dobbiamo restituire centralità al ruolo sociale della lotta politica, che invece è stato demonizzato in questi anni per far posto alla demagogia - rammenta con una punta di amarezza Parsi - è l’unica formula di cui disponiamo per stemperare ed ‘educare’ il conflitto sociale, che è poi inevitabile. Lo dico perché ci dimentichiamo troppo spesso che il mercato produce vinti e vincitori, rendendo il terreno fertile per la proliferazione delle diseguaglianze. Se queste non vengono rappresentate e contrastate politicamente, e quindi di fatto attenuate, impattano in maniera devastante sull’ordine sociale e lo travolgono».

A furia di vedere sistematicamente disilluse le proprie speranze e i propri bisogni, a scapito della salvaguardia dei privilegi dei “soliti”, i “molti che hanno sempre meno” stanno perdendo la fiducia nella democrazia rappresentativa a tal punto da gettarsi tra le braccia di populisti e sovranisti, che fanno leva su false promesse e slogan accattivanti.

Per provare ad arginare questa cupa deriva, occorre riportare in auge i valori, le norme e i principi della democrazia, ricollocando l’uomo al centro delle catene di valore. Solo con un’auspicabile «sintesi tra politica ed economia, tra democrazia e mercato, tra visione del futuro e lotta per realizzarlo, tra libertà e solidarietà» si può pensare di approdare a un nuovo 'Rinascimento', il terzo dei tre possibili scenari preconizzati da Parsi nel libro in questione relativamente alle dinamiche geopolitiche post Covid-19.

Un articolo di

Giacomo Gitti

Scuola di Giornalismo

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