Cento anni fa nasceva Pier Paolo Pasolini, uno degli artisti italiani più versatili del ventesimo secolo. Nel corso della sua vita, tra i tantissimi campi in cui si è distinto, è stato anche un celebre drammaturgo, noto per aver proposto una visione del teatro innovativa e originale. La professoressa Roberta Carpani, docente di Storia del teatro e dello spettacolo presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha evidenziato per noi i capisaldi del teatro pasoliniano: dal rapporto coi miti classici greci, al “Manifesto per un nuovo teatro” da cui nasce il “teatro di parola”.
Qual è stato il rapporto di Pasolini con il teatro greco classico?
«Pasolini ha sempre avuto una forte attenzione per la cultura classica e ha svolto un importante lavoro di traduzione della lingua greca. Su commissione di Vittorio Gassman ha tradotto alcune opere di autori classici, tra cui Plauto. Per quanto riguarda invece la sua produzione, Pasolini ha scelto di seguire il filone del genere tragico e infatti una delle sue prime opere teatrali è una tragedia che prende il nome di “Pilade”. La sua scrittura teatrale va verso direzioni arcaiche, sacrali e misteriche stonando quindi con le idee proposte nel “Manifesto per un nuovo teatro”, in cui Pasolini sostiene che il pubblico deve essere consapevole e deve ragionare con la propria testa».
Cos’è e come si sviluppa il “Manifesto per un nuovo teatro”?
«Il Manifesto è il testo dove Pasolini presenta le sue innovazioni, è simbolo di cambiamento. L'opera è stata scritta nel 1968, anno denso di rivoluzioni sociali, politiche e culturali. L’idea di “nuovo teatro” è stata concepita per la prima volta durante il Convegno di Ivrea del 1967, dando il via all’avanguardia culturale italiana degli anni ’70 e ’80 e gettando le basi per una rifondazione del teatro. Pasolini ha appoggiato questa volontà di rinnovare la scena teatrale proponendo elementi nuovi. Nel “Manifesto”, che rimanda all’idea del futurismo, ha proposto infatti una nuova concezione del teatro: il “teatro di parola”, che deve provocare e coinvolgere lo spettatore».
Ecco, cos’è e su quali pilastri si basa il “teatro di parola”?
«Il “teatro di parola” si schiera contro il teatro “d’arte per tutti”. Pasolini ha preso le distanze, ad esempio, dalle idee di altri autori come Grassi e Strehler, che proponevano un teatro rivolto appunto a tutti, senza distinzioni sociali. Per Pasolini il teatro deve essere rivolto a chi vuole capirlo veramente. Deve stimolare quindi un’élite culturale ristretta, la quale dà la giusta importanza alla parola. Il “teatro di parola” non è per tutti e va contro anche al “teatro della chiacchiera” e al “teatro del gesto e dell’urlo”. Due tipologie di teatro dove la parola viene banalizzata e considerata fine a sé stessa. Pasolini intende il teatro come un “rito culturale” a cui partecipano in modo attivo sia l’attore, corresponsabile dell’invenzione teatrale, sia lo spettatore, dotato di spirito critico e con la volontà di comprendere la parola in quanto tale. Il “teatro di parola” rinuncia quindi a scenografie, musiche e costumi».
Che tipo di linguaggio utilizza Pasolini nelle sue opere teatrali?
«È un linguaggio molto ricercato, pensato a lungo e rivisitato. Pasolini dà a ogni sua opera un’impronta molto personale per quanto riguarda l’aspetto della scrittura. Con le sue idee, con i suoi scritti e con il linguaggio cerca sempre di andare oltre alla stabilità del teatro dell’epoca per provare a dargli una forma diversa».
Che impatto ha avuto, durante la sua epoca, il teatro di Pasolini?
«Pasolini soprattutto durante la sua epoca era considerato un personaggio eccentrico, dotato allo stesso tempo di un pensiero originale e innovativo. Infatti, molti altri artisti - Gassman su tutti - richiedevano spesso la sua collaborazione. Da molti altri invece è stato osteggiato e censurato perché ha sempre cercato di lacerare gli schemi del teatro suo contemporaneo. Nonostante ciò, è riuscito a dare lo stesso una spinta innovativa».
Cosa resta oggi della figura di Pasolini?
«Le idee espresse da Pasolini nel “Manifesto” hanno avuto un lunghissimo eco nel corso delle varie generazioni. Ancora oggi ritroviamo il suo pensiero nel teatro partecipativo e nel teatro performativo, dove appunto la figura dello spettatore è centrale nonché fondamentale».