In che senso si può parlare di amore per il mercato da parte del governo? Quali sono i rapporti di forza o i possibili compromessi tra Stato e mercato, tra “mano visibile” del governo e “mano invisibile” del mercato?
Il mercato deve mettere tutti in condizione di giocare la loro partita, ed è importante il ruolo della politica economica in tale direzione. È questo l’assioma di fondo del libro di Claudio De Vincenti “Per un governo che ami il mercato” (Il Mulino, 2024), presentato in Sala Maria Immacolata il 28 ottobre, e organizzato dal Laboratorio di Analisi Monetaria e dall’Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa chiamando ad intervenire un qualificato parterre di relatori che hanno discusso con l’autore, economista con una esperienza diretta di politica industriale in qualità di sottosegretario e poi viceministro dello Sviluppo economico, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e infine ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno.
L’incontro ha visto il saluto di Rony Hamaui, segretario generale di ASSBB, e ha avuto la moderazione di Ferruccio De Bortoli, presidente della Fondazione Corriere della Sera, il quale, prima di dare la parola ai relatori, ha evidenziato che uno dei rischi in campo economico è quello di altalenare la considerazione del dio mercato con l’onnipotenza dello Stato, disprezzato ma al quale poi viene delegato tutto. «La soluzione sta nella terza via di interazione tra Stato e mercato, come suggerito nel volume di De Vincenti che compendia la sua esperienza accademica con la policy a tradurre in pratica le buone idee».
Tale concetto è stato ripreso da Andrea Boitani, docente di Economia politica in Università Cattolica, il quale ha fatto riferimento alla costruzione di un impianto della politica economica che non ceda all’illusione liberista e neppure a quella dirigista per cui l’intervento pubblico è onnipotente, secondo la tesi del libro che invita poteri pubblici e soggetti privati a sperimentare interazioni strategiche nelle quali far emergere sentieri per l’economia e la società. «Parlare di mano invisibile per il mercato può diventare spiazzante e fuorviante in quanto fa intendere la capacità del mercato lasciato a sé stesso, senza l’intervento pubblico, di raggiungere un obiettivo. Ma il mercato è creazione umana, e l’intervento pubblico è necessario e non distorsivo e vessatorio, pertanto, il suo funzionamento reale non è indipendente dall’intervento pubblico».
Per inquadrare il rapporto tra Stato e mercato Floriana Cerniglia, docente di Economia politica in Università Cattolica, ha usato l’immagine dell’oscillazione del pendolo. Ha citato, quindi, un recente autorevole intervento di Mario Draghi circa l’attuale necessità di un intervento pubblico. «Stato e mercato si sono serviti uno dell’altro, lo Stato come promotore di crescita e innovazione agisce con un suo intervento pubblico che è auspicabile, ma non vanno sottovalutati i rischi dato che i benefici degli incentivi pubblici possono aumentare le disuguaglianze a causa di un interesse individuale del mercato che non coincide con l’interesse collettivo».
Su una interazione strategica che produca un valore per il sistema economico-sociale nel suo complesso (senza cercare un nuovo compromesso tra Stato e mercato) si è pronunciato Antonio Misiani, senatore della Repubblica e responsabile economia PD. In tal senso ha fatto un excursus dell’intervento dello Stato in economia a partire dal secondo dopo guerra, con un contributo positivo, almeno fino agli anni Settanta, delle imprese statali come Iri, Eni, Cassa del Mezzogiorno, fino alla loro privatizzazione. «L’intervento dello Stato torna prepotentemente e utilmente nel 2020 con la pandemia. Senza il ruolo dello Stato in quella fase di emergenza l’economia italiana sarebbe scomparsa dai radar, ma è sopravvissuta grazie alle garanzie offerte alle banche, ai ristori, alla cassa integrazione per tutti e al divieto dei licenziamenti. Oggi la statualità va ripensata in chiave europea e deve avere una bussola nella politica industriale. Solo un rapporto realistico di feconda collaborazione produce le interazioni positive auspicate nel libro».
L’autore De Vincenti, infine, ha raccolto gli spunti offerti dai relatori. «Il governo — ha affermato —dovrebbe sempre fornire un’“ancora” ai comportamenti di mercato (sia attraverso la tutela della concorrenza che attraverso la regolamentazione diretta, quando necessaria), ma anche un “timone”, per orientare e integrare le scelte di investimento in quelle aree (per esempio la transizione verde, la ricerca e sviluppo) che non spingerebbero le imprese a inoltrarsi».
La politica industriale è il “timone” per cui il governo deve interagire con le imprese. Da qui nasce il richiamo, contenuto nel titolo del libro, all’amore tra governo e mercati nel senso che la politica industriale non è solo sterile dirigismo, ma richiede un intervento pubblico in grado di perseguire l'interesse generale con un lavoro di coordinamento e di stimolo all'efficienza e all'innovazione per orientare l’economia al bene comune. La dialettica tra “mano invisibile” e “mano visibile” dà vita a una politica economica che interagisce efficacemente con il mercato, ne disegna le regole e lo indirizza verso obiettivi di interesse generale nella concretezza della nostra epoca storica.