In realtà, se c’è un nodo da sciogliere a breve riguarda l’ampia frammentazione legislativa esistente. A mettere sul tappeto il tema è stato Ruben Razzante, docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica. «Ci sono tantissime autorità che a vario titolo rivendicano spazi, competenze e giurisdizione. Credo che si debba mettere mano a livello nazionale a questa disciplina per renderla unitaria, omogenea, generale, chiarendo in maniera più precisa le competenze e i confini di ciascuno». Secondo il professor Razzante non va poi sottovalutato il nodo relativo alla responsabilità delle piattaforme, che fino a pochi mesi fa hanno vissuto in una dimensione di «anomia», cioè mancanza di norme, una sorta di «enorme prateria nella quale hanno agito indisturbate, incamerando utili e stimolando business». È invece importante che le Big Tech collaborino per «disintossicare lo spazio virtuale da una serie di contenuti nocivi». Va in questa direzione il Digital services act, il regolamento europeo volto a garantire un ambiente online sicuro, in vigore dal 25 agosto 2023 per le grandi piattaforme e dal 17 febbraio 2024 per quelle piccole.
Fatto sta che quella dell’influencer è una professione esplosa velocemente. Un fenomeno a lungo sottovalutato, dove lo scetticismo nel considerarlo un vero e proprio mestiere ha finito per prevalere. Ne è convinto Jacopo Ierussi, presidente e fondatore Assoinfluencer, secondo cui il vero problema sta proprio nel non aver dato al settore la «giusta dignità» che sin dall’inizio meritava dal punto di vista giuridico. «Se lo avessimo fatto in tempo forse oggi non ci saremmo trovati di fronte a un “pandoro-gate” e sicuramente avremmo influencer e consumatori più informati», ha tenuto a precisare.
Già perché l’altro capitolo dell’intricata vicenda chiama in causa il consumatore. Da questo punto di vista, la normativa che lo tutela esiste ed è raccolta in una serie di articoli del Codice del consumo che contemplano le pratiche commerciali scorrette (artt. 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26). Nel concreto qual è la strada da seguire? «Se un utente incappa in una comunicazione di questo tipo, può fare una segnalazione sulla piattaforma di riferimento. Sia Instagram sia TikTok hanno questa possibilità, che è anche abbastanza agevole e intuitiva», ha osservato Simona Arena, responsabile dell’Ufficio Legale Associazione Consumatori, Codici Centro per i Diritti del Cittadino, attiva in Italia da oltre trent’anni. Si possono scegliere anche vie alternative, tra cui segnalazioni all’Associazione dei consumatori che possono intervenire in vario modo, cercando di avere una funzione preventiva. «La nostra Associazione lo scorso aprile ha pubblicato un comunicato stampa per segnalare l’utilizzo dei social network per veicolare messaggi trappola con l’idea di carpire i dati sensibili degli utenti, rubarne il profilo e utilizzarne i contatti per raggiungere il maggior numero di follower», ha detto Arena. Il consumatore può ricorrere a diffide, segnalazioni all’Agcm, all’Antitrust oppure procedere giudizialmente. «In caso di infrazioni del professionista, l’Antitrust prevede sanzioni che vanno dai 5mila fino a 10 milioni di euro, e la cui quantificazione dipende dalla gravità e dalla durata della violazione. Laddove il professionista non ottemperi i provvedimenti di urgenza, quelli di inibitoria o di rimozione, sono previste ulteriori sanzioni, da 10mila a 10 milioni di euro. E nel caso di reiterata inottemperanza l’Antitrust può disporre la sospensione dell’attività di impresa per un periodo non superiore a 30 giorni».