Ma come si può, in un’epoca di calo motivazionale, restituire un senso al proprio vissuto lavorativo? A discutere su quali potrebbero essere le pratiche da adottare è intervenuto Diego Parassole, attore, comico e cabarettista italiano che ha deciso di affiancare la carriera artistica con un percorso professionale come formatore. «Spesso si parla di vivere per lavorare o lavorare per vivere, secondo me bisognerebbe trovare un lavoro per il quale valga la pena vivere. Dovete sapere che qualunque lavoro facciate non sceglieranno mai un curriculum, ma la persona: il datore di lavoro ha bisogno di conoscervi anche come persone», spiega Diego Parassole.
«Io, ad esempio, ho scoperto che ciò che mi piace del mio lavoro da comico è che spesso le persone si divertono. Mi piace però anche il lavoro da formatore – io principalmente alleno le persone a parlare - perché mi soddisfa riuscire a produrre un risultato in loro, vedere che migliorano, e poi anche perché ho la passione per le relazioni».
Nel terzo e ultimo panel, dedicato alle buone pratiche, coordinato da Bruna Nava, Responsabile del Coordinamento didattico del Corso di perfezionamento in Consulenza di carriera, insieme a Diego Parassole sono intervenuti anche gli ex corsisti del corso di perfezionamento: Marco Mazzuccato (Afol Metropolitana), Annamaria Vincenzo (Banca Intesa), Sergio Leonardi (Libero professionista), Lorenzo Torelli (Terzo settore), Vasyl Zhuk (Università Bicocca) e Daria Sauleo (Master International Business - Talent Garden).
«Negli ultimi anni - ha aggiunto Parassole - i valori professionali sono molto cambiati, soprattutto per le nuove generazioni. Quello che spesso i giovani dicono è “vorrei poter equilibrare la vita privata e la vita professionale”. Ma è possibile che la felicità non possa darla anche il lavoro e che la si cerchi solo al di fuori di esso? Oggi il tempo libero è una grande necessità, permette di esprimere sé stessi e dare un senso a ciò che si fa, come se il lavoro fosse solo il mezzo per arrivare a ciò di cui si ha bisogno. Come diceva Antonio Damaso, non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma siamo macchine emozionali che pensano. Noi pensiamo che ci sia da un lato la razionalità e dall’altro l’emozionalità, che le due cose vadano in collisione. Ma il problema è che se è vero che siamo macchine emozionali, se non allineiamo alla nostra razionalità l’emozionalità, la passione per quello che facciamo, rischiamo davvero di essere estremamente infelici».
«Se non mettiamo qualcosa di noi nel lavoro siamo destinati ad essere infelici. Se fai un lavoro che ti piace non è vero che manca la fatica, però è un mestiere che ci identifica. Se restiamo ancorati e non troviamo qualcosa che ci animi ci spegniamo. Bisogna mettere l’anima nel lavoro – ha concluso Parassole - noi da lavoratori dobbiamo fare la nostra parte, ma anche le aziende devono ricordarsi che di fronte a loro ci sono persone, esseri umani».