Non tutti sanno che nell’ordinamento giuridico italiano c’è una norma che consente di fronteggiare i casi più gravi di crisi economica dei consumatori. In particolare, di quelli che si trovano in situazioni di mutuo ipotecato. È l’articolo 40 ter del Decreto sostegni 2021: introdotto nel 2019 e modificato nella legge di conversione del maggio scorso, dà al debitore, a fronte di determinati requisiti, il diritto di riformulare una richiesta di rinegoziazione del credito erogato dalla banca.
La disposizione, che esaurirà i propri effetti con la fine dell’anno in corso, non ha avuto finora larga applicazione. Al momento le procedure immobiliari pendenti sono solo 8.000. Oltre ai pochi casi, poi, non sempre la sospensione della procedura esecutiva è stata concessa. Che cosa non ha funzionato? «Vogliamo capire se si può fare qualche cosa per rendere la norma più efficace e se ha senso immaginare di prolungarne la durata applicativa, magari con decisioni legislative che si può provare a sollecitare», spiega Antonella Sciarrone Alibrandi, prorettrice e direttrice dell’Osservatorio sul debito privato, che con questo intento ha organizzato il 27 giugno l’incontro “Rinegoziazione del mutuo e sospensione della procedura esecutiva immobiliare” per avviare con tutti gli attori coinvolti, magistrati e operatori bancari in primis, una seria riflessione sulla legge.
«Mi sarei immaginata un’applicazione abbastanza diffusa di questo istituto ma ahimè non è così», testimonia Marianna Galioto, presidente della Sezione Esecuzioni Immobiliari del Tribunale di Milano. «Non ci sono protocolli interni: dobbiamo studiare ex novo in quanto nessuno ha mai applicato questa normativa e non sappiamo neanche come strutturare le clausole anche in relazione a tutti i rischi in cui la banca può incorrere».
In sintesi, la norma prevede la possibilità di una sospensione dell’esecuzione immobiliare. Due i momenti decisionali che si snodano nell’arco della procedura descritta da questa norma: il primo di pertinenza del giudice di esecuzione che, sentiti i creditori, deciderà se concedere o meno la sospensione; l’altro momento, invece, riguarda la banca che valuterà in relazione alla verifica del merito creditizio del debitore se accettare la rinegoziazione.
Secondo la professoressa Sciarrone a distanza di un anno dalla sua entrata in vigore ci sono due considerazioni da fare. «La prima è l’incoerenza tra gli strumenti giuridici utilizzati e le situazioni reali. Siamo in una fase particolare, per questo ritengo che si debba fare uno sforzo di creatività: l’applicazione rigorosa e meccanica di soluzioni, che si sono sempre seguite in passato, non è la migliore risposta rispetto a un cambiamento socio-economico importante». La seconda considerazione riguarda il merito creditizio, che «non può non esserci nel momento in cui si fa una rinegoziazione o un rifinanziamento se si ragiona in un’ottica di debitore e creditore. Ma non dovrebbe essere fatto secondo canoni rigidi e standard. Un tema cruciale come confermano le numerose riflessioni in corso in tutta Europa su come vada eseguita la verifica di merito creditizio».
Se c’è un punto scosceso e difficile da mettere insieme per far funzionare l’articolo 40 ter del decreto sostegni è proprio l’aspetto del merito creditizio, vale a dire la valutazione da parte della banca del merito del credito dell’esecutato. Secondo Angelo Dolmetta, già giudice della Corte di Cassazione e per molti anni docente di Istituzioni di diritto privato e Diritto bancario in Cattolica «contrarre e contrattare sono due poli della dogmatica degli anni 50 che hanno finito di aver senso. O si trova la giusta dimensione oppure questa parola finisce per mettere il tappo all’utilizzazione della normativa. Lo strumento della rinegoziazione è, comunque, una necessità nel nostro sistema ma va procedimentalizzato dando indicazioni da seguire». Per il professor Dolmetta, forse «bisognerebbe andare in controtendenza e introdurre la rinegoziazione assistita con interventi consulenziali dei giudici».
Insomma, vanno trovate «soluzioni alternative» poiché c’è una «discrasia» tra quello che succede nel Paese e quello che il legislatore disciplina. «I rapporti così come venivano disciplinati a livello legislativo nel passato sembrano molto stretti in un contesto colpito dalla pandemia e ora anche dagli effetti della guerra», avverte Marcella Caradonna, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Milano. «Lo dico io che vivo la frustrazione in tante situazioni di poter salvare un’azienda e di avere interlocutori che non hanno il minimo interesse a salvarla, perché ci sono beni immobili tali da consentire un rientro su crediti comprati a importi ben inferiori rispetto a quelli che sono oggetto dell’asta». Per questo, suggerisce, «l’unico modo è lavorare a brain storming, ragionando insieme, facendo delle proposte, ben sapendo che il percorso è lungo e faticoso». Ma «non possiamo fermarci» se vogliamo «ribellarci a concetti che nel sistema sociale vale di più uno che ha rispetto a uno che è».