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La finanza a misura di Terzo Settore

23 giugno 2022

La finanza a misura di Terzo Settore

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Social lending, titoli di solidarietà, social bond, social impact bond. Sono strumenti alternativi di prestito bancario, alcuni dei quali introdotti dalla riforma del Terzo Settore, che aprono scenari nuovi rispetto alle forme di finanziamento della finanza tradizionale. Soprattutto per alcune realtà, come enti ecclesiastici e religiosi, che hanno bisogno di razionalizzare le risorse. Se, da un lato, lo stato ha ridotto il flusso di denaro da destinare ad attività sociali, dall’altro, la regolamentazione bancaria europea ha incrementato i vincoli di accesso al credito finendo per penalizzare fortemente gli enti del terzo settore. È per accompagnare e sostenere questi soggetti in percorsi di razionalizzazione del debito che nasce l’iniziativa promossa dalla facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative, realizzata in collaborazione con Unione superiore maggiori d’Italia (Usmi) e Conferenza italiana superiori maggiori (Cism).

Un progetto presentato mercoledì 22 giugno nel corso di un incontro che ha riunito attorno allo stesso tavolo accademici ed esponenti dell’industria finanziaria. Si tratta di «comprendere le opportunità che in questa particolare fase storica offrono questi nuovi strumenti finanziari», dice suor Alessandra Smerilli, segretario del Dicastero per lo sviluppo umano integrale, avviando con il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli i lavori dell’incontro. «Gli ingredienti per poter fare qualcosa di buono ci sono tutti» e da parte nostra «c’è bisogno di agire con trasparenza aprendosi alle novità». Del resto, «la volontà di assicurare la qualità dei nostri servizi a tutti gli assistiti ci sprona a fare un attento esame rispetto al cambiamento in atto», spiega padre Luigi Gaetani, presidente Cism. «Il mondo in cui gli enti ecclesiastici si muovono è cambiato molto negli ultimi decenni: si è creata una sorta di concorrenza, è mutata la percezione dell’opinione pubblica ed è aumentata anche la diffidenza sociale». Per questo gli enti ecclesiastici devono adottare strategie di tipo aziendalistico se vogliono continuare a operare visto che lo stato ha sempre minori mezzi da destinare ad attività sociali. E «il percorso di approfondimento cominciato con il sostegno dell’Università Cattolica, dandoci la possibilità di confrontarci con qualificati esponenti dell’industria finanziaria, ci fa credere di aver intrapreso un nuovo, interessante cammino». Che, osserva la presidente Usmi madre Yvonne Reungoa, darà «risultati costruttivi» per il futuro degli enti ecclesiastici.

Infatti, «nell’erogazione di credito ordinario le banche sono tenute ad applicare gli stessi modelli a tutti i prenditori», afferma la preside di Scienze bancarie, finanziare e assicurative Elena Beccalli. «Ciò può risultare penalizzante per gli enti del terzo settore al punto da rendere difficile o addirittura non più possibile l’ottenimento di finanziamenti ordinari poiché sono chiamati ad avere le stesse condizioni, le stesse garanzie e la stessa “disclosure” di informazioni delle imprese». Di qui la necessità di avviare un percorso di finanza sociale che si articola in tre step: «Agevolare la conoscenza delle caratteristiche degli enti del terzo settore - e in particolare degli enti ecclesiastici e religiosi - da parte dei vari attori del sistema del credito (banche e autorità); accompagnare gli enti in percorsi di razionalizzazione del debito e di sviluppo delle competenze necessarie, favorendo logiche di rete; comprendere come sostenere questi enti nelle loro necessità di finanziamento, ricorrendo anche a forme alternative al credito ordinario bancario».  

Ora, per favorire il reperimento di fondi il Codice del Terzo Settore prevede due fattispecie: i titoli di solidarietà e il social lending. I primi sono emessi da banche sotto forma di obbligazioni e altri titoli di debito ovvero certificati di deposito con l’obiettivo di sostenere le attività degli enti del terzo settore. Il social lending disciplinato dall’articolo 78 del Codice, invece, prevede la raccolta di capitale attraverso piattaforme online autorizzate. In altri termini, sono forme di prestito tra privati, come per esempio il crowdfunding, il cui vantaggio principale è la «riduzione dei costi di intermediazione consentendo l’ottenimento di migliori condizioni sia per il prestatore sia per il prenditore», spiega la preside Beccalli. Uno strumento, quindi, che può contribuire a colmare la «mancanza di adeguate forme di finanziamento», aprendo a un modello di welfare sociale dove il principio di sussidiarietà, cardine della dottrina sociale della Chiesa, trova un ruolo essenziale.

Accanto a titoli di solidarietà e social lending, esistono anche altri strumenti come i social bond e i social impact bond. «Ma restano ancora troppo poco utilizzati. C’è una parte dell’economia del terzo settore che fa fatica a parlare con la finanza», sostiene Alfonso Del Giudice, docente di Finanza sostenibile in Cattolica. «Eppure il momento è propizio, visto che le risorse investite anche per generare impatti socio-ambientali ammontano globalmente a 35,3 trilioni di dollari, una cifra record pari al 36% circa dell’intero risparmio gestito.» La difficoltà ad intercettare una frazione di questi investimenti risiede nella complessità di alcuni prodotti, come i social impact bond, che però potrebbero giovare dell’innovazione legislativa introdotta dal social lending. Finanziare progetti innovativi, compito tipico delle piattaforme digitali di crowdfunding, è esattamente la stessa finalità dei social impact bond, per cui si potrebbero trovare forme tecniche di utilizzo concreto di questo strumento. «L’Italia, paese che ha “inventato” il Terzo Settore, potrebbe diventare un laboratorio fondamentale per sperimentare strumenti volti a incrementare la quota di investitori attivi con finalità sociale», specifica Del Giudice.

Insomma, siamo di fronte a una «svolta epocale» resa possibile anche dal fatto che «successivamente all’entrata in vigore del Regolamento 2020/1503 la gestione dei portali di crowdfunding può essere effettuata da soggetti specializzati, tra cui le banche», chiarisce Mattia Berruti, Expert analyst del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria di Banca d’Italia, nella tavola rotonda moderata da Andrea Perrone, direttore Centro studi sugli enti ecclesiastici e sugli altri enti senza fini di lucro (Cesen). Inoltre, chi gestisce questo tipo di piattaforme, oltre a essere sottoposto a vigilanza, deve avere i requisiti e fornire informazioni. I rischi ovviamente ci sono. Per esempio, «la non efficiente allocazione del risparmio, il rischio di stabilità finanziaria, la scarsa trasparenza, la dipendenza da tecnologia». Ma i benefici non mancano. Tra questi «la riduzione del costo di intermediazione finanziaria, la maggiore diversificazione de portafoglio, la minore dipendenza dal canale bancario, la differenziazione delle fonti di finanziamento».

Ecco perché «occorre disporre di consulenti esperti che conoscano le peculiarità degli enti ecclesiastici», avverte Giovanni Pirovano, consigliere e membro del Comitato esecutivo e del Comitato di presidenza dell’Abi. «Per andare incontro ai bisogni degli enti del terzo settore l’Associazione bancaria italiana ha costituito un gruppo di lavoro sulla sostenibilità sociale cui hanno aderito 50 banche italiane. Tra le finalità che si propone la richiesta a livello europeo di un abbassamento dei requisiti minimi per l’accesso al credito».

Eppure, c’è chi come il credito cooperativo è stato sempre vicino agli enti religiosi e del terzo settore. I numeri parlano chiaro: nel 2021 sono stati 60 i milioni di euro erogati in donazioni alle comunità locali. E in futuro, a fronte di un evidente insufficienza di welfare state, le banche di credito cooperativo si muoveranno lungo tre linee progettuali. Come racconta Raffaele Arici, direttore della Federazione Lombarda delle Banche di Credito Cooperativo. «Favorire associazioni di tipo mutualistico per sostenere la comunità locale su alcune direttrici, famiglia e salute per citarne alcuni; promuovere progetti di welfare responsabili, aprire a forme di credito di carattere innovativo, tra cui il crowdfunding, sviluppando esperienze pilota».

 

Un articolo di

Katia Biondi

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