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Ripensare le città dopo la pandemia: per una visione più umana dell’urbano

11 febbraio 2021

Ripensare le città dopo la pandemia: per una visione più umana dell’urbano

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Lo shock pandemico che stiamo attraversando ormai da un anno ha posto a soqquadro le nostre esistenze, costringendo le nostre vite ad una forte battuta d’arresto. Le misure intraprese dal Governo per contenere la diffusione del contagio, distanziamento sociale e lockdown, hanno generato una serie di effetti a cascata le cui conseguenze si sono manifestate a vari livelli, non solo per quanto riguarda l’ambito strettamente umano, ma anche a livello ambientale: le città si sono improvvisamente svuotate delle popolazioni che l’attraversano ogni giorno, la mobilità azzerata e la tipica entropia sociale ha raggiunto livelli di minimo conosciuti solo in epoche belliche, trasformando il paesaggio urbano in un contesto spettrale. Non è un caso che le città abbiano accusato maggiormente l’impatto prodotto dalle chiusure generalizzate e stiano pagando il prezzo più alto in termini economici e psicosociali. Le caratteristiche dell’ambiente urbano, costituito per definizione da una elevata densità abitativa, oltre che da una forte presenza di infrastrutture, servizi, edifici e da ridotti spazi dedicati alla restoration individuale, fanno di questo luogo un ambito in cui la complessità nella gestione di questo shock esogeno rappresenta una sfida imponente. La prova più grande a cui tutti siamo sottoposti riguarda, per l’appunto, la contrazione dello spazio a nostra disposizione, a cui è paradossalmente corrisposta una dilatazione temporale (sfumando i confini tra il tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla nostra vita) e della mancata possibilità di praticare la nostra innata propensione alla socialità, particolarmente marcata nelle città. Tutto questo ha avuto e avrà preoccupanti ricadute sul benessere soggettivo.

Sebbene non siano mancati fenomeni di negazionismo o di resistenza all’utilizzo delle precauzioni per scongiurare il contagio, abbiamo assistito ad un impegno collettivo piuttosto diffuso nel tentativo di affrontare efficacemente la pandemia. Lo sforzo e i sacrifici fatti, però, rappresentano la dimostrazione plastica che l’eccezionalità del momento sia in grado di attivare le importanti risorse di cui la nostra specie è dotata. Questo aspetto non solo permette di attraversare l’esperienza pandemica cercando di massimizzare i fattori protettivi psicologici per cercare di uscirne più o meno indenni, ma apre il grande dibattito circa l’enorme opportunità che tali risorse possiedono per tentare di disegnare un cambiamento di rotta nel nostro modo di vivere, in particolare nelle città.

Sottolineo non a caso la dimensione urbana, perché se da un lato costituisce la forma insediativa che più ha pagato in termini di vite umane e di stress socio-economico, la stessa ripartenza può e deve scaturire da esse. Le città sono il giacimento di opportunità e di energia necessarie per produrre innovazione, nuovi stili di vita, nuove idee per rendere la vita più sostenibile. Fatico a credere che la “voglia di città” si stia esaurendo in favore di un improvviso ritorno nostalgico a contesti insediativi meno densificati; siamo ancora troppo immersi nell’evento pandemico per giungere a questa conclusione. Piuttosto, si apre di fronte a noi la possibilità di ripensare le città attivando le migliori risorse per combattere i mutamenti climatici e renderle più vivibili e accessibili. Siamo di fronte alla grande occasione di sviluppare una visione urbana inclusiva, che, ad esempio, non sovrastimi la retorica artificiosa della “attrattività urbana” per ottenere effetti di breve periodo, ma tenga conto, piuttosto, del complesso sistema di ricadute sociali che grandi interventi di trasformazione spaziale determinano, generando troppo spesso situazioni di diseguaglianza abitativa, socio-economica e nella qualità della vita.

Abbiamo tutte le risorse per immaginare una nuova era urbana post-Covid19 più umana. I cittadini hanno fatto grandemente la loro parte, ora all’appello è più che mai necessaria un’azione politica coraggiosa che coinvolga il sapere scientifico assieme a quello del policy making per tradurre questo immaginario in cambiamenti concreti. Per noi e per chi verrà dopo.

Un articolo di

Luca Bottini

Luca Bottini

Sociologo Urbano, Alumnus Economia e Gestione dei Beni Culturali

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