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Scenari aperti dalle nuove frontiere della maternità

08 aprile 2022

Scenari aperti dalle nuove frontiere della maternità

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Il femminile sul banco di prova. C’è una pratica che frantuma il corpo della donna, lo parcellizza staccandolo dall’unitarietà della persona e portando con sé problemi etici di legittimità a livello personale e collettivo nella misura in cui riguarda più donne, più madri, uno o più figli, la famiglia e infine la società. Infatti, «la maternità surrogata riguarda il delicato rapporto tra corpo e stato e i problemi sono innanzi tutto di natura biopolitica prima ancora che bioetica» - ha detto Alessandra Papa, docente di Filosofia morale dell’Università Cattolica, che ha introdotto l’ultimo di un ciclo di incontri promossi dal Centro di Ateneo di Bioetica e scienze della vita e dal Centro di ricerca sulla filosofia della persona Adriano Bausola dell’Università Cattolica.

Definita come una «pratica invidiosa, sessista perchè svilisce il corpo della donna facendo di essa un’incubatrice che spersonalizza l’origine, separa la sessualità dalla procreazione e la procreazione dalla gestazione», la maternità surrogata apre come una matrioska una serie di questioni legate alla scienza, alla tecnica, alla psicologia, alla giurisprudenza, all’economia, insomma alla persona umana in tutte le sue dimensioni. 

A tratteggiare il quadro della riflessone filosofica sulla maternità attraverso le parole di alcune pensatrici è stata Elena Colombetti, docente di Filosofia morale in Università Cattolica. Si è passati «dall’immagine della gravidanza, esposta da Simone de Beauvoir, come esperienza alienante e dalla visione di Shulamith Firestone di una donna oppressa che non può liberarsi della sua natura se non attraverso la tecnologia, al pensiero della differenza che ha recuperato la maternità come un’esperienza propriamente femminile, come un corpo che può essere due, vissuta non come un destino ma come una scelta». 

Qui la tecnologia gioca un ruolo importante «perché la liberazione dalla maternità diventa liberazione della maternità. La donna, sganciata dalla maternità come destino biologico e sociale, grazie alla tecnologia biomedica può finalmente decidere se, come e quando diventare madre». Con Luce Irigaray si apre poi la questione delle origini che si esprime nella relazione tra madre e figlio. Come dice la filosofa “La donna mantiene la sua identità nella misura in cui è attraversata identitariamente dalla maternità senza però diventare la rappresentazione stessa della madre”. Emerge così l’economia della differenza, del due in uno rispettando le identità di entrambi.

La valorizzazione delle origini della vita si scontra con la cruda realtà di oggi quando scopriamo la mercificazione dei bambini nati da madri surrogate costrette a vivere in un bunker in Ucraina, per quanto attrezzato e relativamente confortevole, per far nascere bambini che in un tempo prestabilito saranno destinati a un’altra madre. Sul fatto, ricordato da Massimo Antonelli, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica e scienze della vita, che ha introdotto l’incontro, si è espresso anche Adriano Pessina, direttore del Centro di ricerca sulla filosofia della persona Adriano Bausola. «La maternità surrogata diviene parte di un processo economico che non si vuole arrestare - ha dichiarato il professore -. La Biotexcom, clinica della fecondazione assistita, poco prima che la Russia invadesse l’Ucraina, ha pensato di tranquillizzare i propri clienti (che nei sottotitoli in italiano sono diventati “pazienti”), in ordine alla possibilità di portare a termine le maternità surrogate che erano state commissionate. La riproduzione umana è diventata una catena della produzione umana. Questo processo culturale tende a normalizzare una questione che ha una densità etica, antropologica, politica e culturale».

E non è nemmeno certo che poi “l’adozione” vada a buon fine. «I figli sono pensati come una merce prodotta a cui si può rinunciare pagando una penale. La madre committente può non volere più il figlio, può non sentirsela più» ha precisato Alessio Musio, docente di Filosofia morale in Università Cattolica. 

«Il cuore della maternità surrogata è innanzi tutto uno strano connubio tra tecnologia e corporeità - ha continuato Musio -. Se la fecondazione in vitro rende possibile il fenomeno della delega della generazione alla tecnologia quando subentra la surrogacy si assiste alla scissione del materno in tre figure femminili: la madre genetica che fornisce gli ovociti, la madre gestazionale che presta l’utero e la madre sociale che si prenderà cura del bambino». 

Oltre al tema etico che si apre rispetto all’individuare chi è la vera madre tra le tre, si pone una questione ancora più ampia se si considerano tutti soggetti in gioco: madri, padri, figli già nati nelle famiglie delle madri surrogate che assistono alla sparizione del fratellino atteso chiedendosi se anche a loro sarebbe potuto capitare un destino simile, e i figli della maternità surrogata che perdono il legame con la madre che li ha partoriti. Si legittima, così, l’abbandono a cui eticamente si può rimediare solo grazie all’adozione. Infatti, ha chiarito Musio, «il figlio non può essere non solo comprato ma nemmeno donato perché ogni donna può sempre donare qualcosa della sua esperienza femminile ma non un figlio per il semplice fatto che a poter essere donate sono solo le cose e non le persone».

L’evento ha affrontato anche l’aspetto biotecnologico della generazione che interpella eticamente. Oggi si può intervenire sul genoma umano attraverso la tecnologia «fino ad arrivare a un controllo genetico - come ha sottolineato Maurizio Genuardi, docente di Genetica medica in Università Cattolica - a livello individuale per ovviare a malattie genetiche o modificare caratteristiche psico-fisiche, e a livello collettivo fino ad arrivare a scenari futuribili inquietanti come il miglioramento della razza e il controllo delle menti». 

Infatti, anche nel caso della maternità surrogata si può intervenire con test genetici preconcezionali, diagnosi e screening prenatali, diagnosi e test preimpianto, terapia genica prenatale/ germinale, altre modificazioni (editing) di caratteri geneticamente determinati, selezione degli embrioni basata su caratteristiche o attitudini psicofisiche. Ipotesi per ora non realizzabili che comunque interrogano le coscienze.

Se la scienza e la tecnica consentono pratiche eticamente discutibili, un ruolo decisivo spetta alla giurisprudenza che in Italia apre ancora scenari problematici. Come è noto la legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita vieta la maternità surrogata, ma l’articolo 30 della nostra Costituzione dice che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio e una sentenza della Corte Costituzionale del 2014 ha imposto la legittimità della fecondazione eterologa. Nella prospettiva di una legittimazione della maternità surrogata «nel contratto ci sarà la disponibilità della donna a portare avanti la gravidanza, a partorire e consegnare il bambino dopo due mesi e anche la volontà e intenzione di non essere la madre dal punto di vista giuridico» - ha spiegato Andrea Nicolussi, docente di Diritto civile in Università Cattolica. Per questo «si può parlare di una forma di oggettivazione, reificazione, depersonalizzazione del fenomeno generativo. La maternità surrogata viola la dignità della donna che dispone del proprio corpo a titolo oneroso ma viola anche la dignità umana del bambino».

Ci si trova, dunque, di fronte a due poli opposti: da un lato una relazione tra genitori e figlio basata sulla solidarietà intergenerazionale che prevede l’obbligo della cura come fondamento del rapporto, dall’altro c’è un paradigma volontaristico che pone il diritto soggettivo alla base della filiazione. L’Italia non è ancora adeguata dal punto di vista legislativo per affrontare la questione della maternità surrogata.

Con l’incontro del 6 aprile si è concluso un ciclo che ha precedentemente affrontato due questioni alla base del dibattito bioetico: la fine della vita e la cura. 
Durante il primo incontro sono stati messi al centro i concetti di omicidio di consenziente, eutanasia, suicidio assistito, sospensione delle cure, e ci si è interrogati sulle implicazioni della richiesta di suicidio medicalmente assistito che trasformerebbe un fatto in un diritto. Oltre ai membri del Centro di Ateneo di Bioetica e scienze della vita, sono intervenuti Andrea Nicolussi, Laura Palazzani, docente di Filosofia del Diritto alla LUMSA di Roma, Antonio G. Spagnolo, docente di Medicina legale e delle assicurazioni in Università Cattolica, Vincenzo Valentini, docente di Diagnostica per immagini e radioterapia in Università Cattolica.

Il secondo incontro ha poi messo al centro i concetti di incurabile e inguaribile grazie ai contributi di professioniste come Marianna Gensabella, già Ordinario di Filosofia Morale all’Università degli Studi di Messina, Matilde Leonardi, Direttore UOC Neurologia, Salute Pubblica, Disabilità, Direzione Scientifica della Fondazione IRCSS Istituto Neurologico C. Besta di Milano, e di Adriana Turriziani, past President Società Italiana di Cure Palliative. Si è parlato di vulnerabilità come possibilità di essere feriti, di cura personale collegata alla salute pubblica, di cura dei pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza in relazione ai caregiver, di cure palliative nell’esperienza dell’hospice nei momenti terminali della vita. 

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

Emanuela Gazzotti

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