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Donne e maternità surrogata dall’Antico Testamento a oggi

27 novembre 2023

Donne e maternità surrogata dall’Antico Testamento a oggi

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Già tremila anni fa qualcosa di simile a una ‘maternità per conto terzi’ fa capolino nella Bibbia quando Rachele, che non riusciva ad avere un figlio, chiede a Giacobbe di unirsi alla sua serva per il concepimento (Genesi,30). Oggi il tema è materia di studio della bioetica con una differenza sostanziale rispetto al passato, ovvero la presenza delle tecnologie riproduttive che cambiano radicalmente tracciati e scenari.

Il seminario di mercoledì 29 novembre nel campus milanese dell’Università Cattolica (largo Gemelli 1, aula Benedetto XV ore 11.30) intitolato “Il racconto dell’ancella. Tra costrizioni, violenza e maternità surrogata” mette al centro la maternità surrogata accostandola ai concetti di giustizia e di legittimità. «Il titolo riprende l’omonimo libro di Margaret Atwood, da cui è stata tratta anche una serie tv di successo, che si apre proprio con il racconto del Libro della Genesi nell’Antico Testamento - ha detto Alessio Musio, docente di Bioetica dell’Ateneo e autore del volume Baby boom. Critica della maternità surrogata -. Alcuni autori cercano di legittimare la maternità surrogata proprio riferendosi alle matriarche che ricorrevano alle loro schiave a scopo riproduttivo, dimenticando che non ogni racconto biblico è ipso facto una legittimazione biblica». Anzi, a ben guardare, nella Bibbia non è in gioco il volere di Dio ma l’approfittarsi dalle leggi mesopotamiche da parte dei patriarchi e delle loro mogli.

Nel dibattito femminista contemporaneo questo riferimento biblico ha creato una spaccatura. «Una parte del movimento vede nel racconto della Atwood una condanna del modo con cui il potere ha non di rado sfruttato la capacità femminile di dare la vita, e quindi implicitamente anche una condanna della violenza della maternità surrogata - ha continuato Musio -. Un’altra parte, invece, si è opposta radicalmente alla possibilità di vedere nel racconto dell’ancella anche una condanna della pratica sociale della maternità surrogata».

Il seminario, proposto dal Centro di ricerca sulla filosofia della persona Adriano Bausola, vuole interrogarsi sul tema attraverso una riflessione su giustizia e femminile con l’intervento di Arianna Visconti che illustrerà come nella storia il femminile, in quanto femminile e capace di dare la vita, ha sempre corso il rischio di essere posto in una condizione di ingiusta subordinazione; e attraverso la relazione di Raffaele Chiarulli sulla serie tv tratta dal romanzo della Atwood che ha contribuito alla sceneggiatura e che è diventata un’icona del femminismo.

Rispetto alla narrazione biblica, in cui la schiava era comunque l’unica madre carnale del figlio, che ne assumeva di fatto il patrimonio genetico, ci sono ovviamente delle differenze ma l’aspetto comune con il caso odierno della maternità surrogata è che si parla di un “materno per conto terzi”. Nella maternità surrogata, però, oggi sono coinvolte tre madri: la madre genetica che ha messo l’ovocita attraverso la fecondazione in vitro, la madre gestante e partoriente (l’ancella) e la madre sociale che si prenderà cura del bambino una volta nato. 
«Quello che distrugge l’analogia, dunque, è la tecnologia - ha aggiunto il professore -. La scomposizione del materno in tre figure non è mai esistita e porta all’imbarazzo teorico ed esistenziale di definire chi sia la “vera” madre. E non è indifferente il soggetto che si pone questa domanda: un conto infatti è se è lo studioso del fenomeno a porsela, un altro è se è il figlio».

Si potrebbe dire che tremila anni fa la donna veniva soggiogata e “usata” per scopi procreativi e che oggi, al contrario, la donna che si presta alla maternità surrogata lo faccia liberamente, esprimendo un consenso e ricevendo un compenso. Ma «non bastano il consenso e il compenso per legittimare una pratica che resta una reificazione - ha aggiunto Musio -. Si tratta sempre di una violenza perché si riduce la corporeità a un mezzo trattando il femminile come un puro dispositivo di passaggio e si annulla la relazione tra madre e bambino. In questo processo la relazione instaurata dalla madre con il feto durante la gravidanza, infatti, è come se non contasse nulla. ll bambino è considerato una tabula rasa e la modalità con cui è venuto al mondo è pensato come irrilevante, allo stesso modo di ciò che accade nei tracciati della produzione che però riguardano le cose e non le persone».

Questo ha conseguenze nella vita reale, come si evince per esempio nell’esperienza concreta di un bambino o di una bambina di una madre surrogata, che assistono alla sparizione del figlio dopo il parto chiedendosi se quel destino di sparizione non sarebbe potuto accadere anche a loro.
 

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

Emanuela Gazzotti

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