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Se lo stress della pianta si chiama microplastica

13 gennaio 2023

Se lo stress della pianta si chiama microplastica

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«Là, alla Purdue University, sto molto bene, c’è grande apertura e disponibilità, il luogo ideale per portare avanti la mia ricerca». Leilei Zhang va a caccia delle microplastiche, o meglio delle ancora più piccole nanoplastiche, spesso sotto forma di polvere, volatili e capaci di finire sulle nostre tavole e, da lì, nel nostro organismo. Zhang ha 33 anni ed è nata in Cina, è giunta in Italia quando ne aveva 8 e oggi è al terzo anno della Scuola di dottorato Agrisystem dell’Università Cattolica. Ma se la cercassimo in Ateneo non la troveremmo: da Piacenza è partita per gli Stati Uniti, dove alla Purdue University (Indiana) sta lavorando alla sua ricerca dal titolo “Studio di stress multipli in pianta per il contrasto del cambiamento climatico”

Chiarisce subito il punto, Zhang. «Per stress multipli su pianta - dice - si intende lo stress salino e la siccità, ma anche gli inquinanti ambientali come i metalli pesanti e le microplastiche».
Lavorando in Cattolica nel laboratorio del professore Luigi Lucini, che si occupa della metabolomica delle piante, Zhang ha studiato l’interazione fra l’ambiente e la piante e come queste ultime affrontano gli stress ambientali. «Studiamo inoltre i biostimolanti, di derivazione naturale - aggiunge la ricercatrice - che hanno il compito di mitigare questo stress».

«Uno degli studi svolti a Piacenza la scorsa estate ha consentito di valutare le diverse concentrazioni e i diametri delle microplastiche presenti nelle foglie di lattuga. È dimostrato come le micro e nanoplastiche siano trasportate dalle radici fino alla foglia per essere, nel caso della lattuga, mangiate poi dall’uomo con gli effetti negativi che possiamo immaginare. Le piante, però, rispondono in modo diverso ai contaminanti: cambiano la morfologia, la conformazione, il modo in cui fanno la fotosintesi. Si adattano allo stress e, ad esempio, possono diminuire l’attività fotosintetica o la produzione della clorofilla».

Da qualche giorno Zhang è in Usa per terminare il programma semestrale. «Alla Purdue University hanno uno strumento chiamato Phenotyping - dice - che produce immagini e dati per analizzare la morfologia e le caratteristiche di crescita della pianta, senza distruggerla, un impianto all’avanguardia». Negli Stati Uniti attorno al suo progetto si respira grande interesse. «Attualmente la ricerca universitaria negli Usa è mossa dalla ricerca industriale, in quanto è dalle industrie che giunge la gran parte dei fondi a essa destinati. L’Indiana è la regione dei grandi laghi e la ricerca è indirizzata a risolvere il problema degli agricoltori locali, che hanno trovato nell’acqua del lago e in quella dei fiumi un grande inquinamento. È un’emergenza, pertanto si approfondisce tutto quanto riguarda l’inquinamento di metalli pesanti e microplastiche, così avverto grande interesse per il mio campo di studi».

Un articolo di

Sabrina Cliti

Sabrina Cliti

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