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Solo il cuore risponde ai bisogni dell’uomo

22 marzo 2023

Solo il cuore risponde ai bisogni dell’uomo

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Quella dell’educatore oggi è una professione sfidante per la sua capacità di essere presente nelle relazioni con creatività, progettando insieme, pensando insieme e ponendosi domande nell’ambito della comunità che non solo educa ma favorisce le relazioni. La recente pandemia, peraltro, ha dato conferma che la professione di educatore è molto articolata e ha evidenziato nuove fragilità e nuove occasioni di intervento.

Coniugando riflessività teorica e buone pratiche, il 20 marzo si è svolto un seminario su “Prendersi cura delle relazioni sociali: l’educatore nei servizi alla persona”, organizzato dalla Facoltà di Scienze della formazione e dal Dipartimento di Sociologia.

L’importanza di una formazione seria e rigorosa è stata sottolineata, all’inizio dell’incontro, da Domenico Simeone, preside della Facoltà di Scienze della formazione: «La formazione è necessaria, anzi fondamentale per potersi prendere cura delle relazioni sociali, senza sovrapporre i nostri bisogni a quelli delle persone che intendiamo aiutare. C’è bisogno di studio per aiutare chi ha bisogno, occorre essere molto preparati, soprattutto quando ci si occupa di chi vive nella marginalità. Al tempo stesso occorre mettersi in gioco, cambiare il proprio sguardo sulla realtà. Non si tratta di svolgere il compito di educatore, ma di essere educatore, non si tratta di gestire servizi ma è fondamentale l’incontro con le persone».

Nella prima sessione del seminario la riflessione ha riguardato il prendersi cura delle relazioni socioeducative. Ha coordinato gli interventi la professoressa Lucia Boccacin, che ha inquadrato la figura dell’educatore nei servizi alla persona, soffermandosi sul concetto di “cura”: «Ritengo che la cura non sia solo una azione puntuale, specifica e specialistica, ma sia un processo, che dura nel tempo e lo attraversa. Richiede il concorso di più soggetti sociali ed è in grado di generare esiti a varie dimensioni. Prendersi a cuore una cosa, significa, testualmente, prendersene cura. C’è quindi una relazione stretta, e non solo di radice lessicale, tra “cura” e “cuore”». 

Ma cura da che cosa? «Dall’individualismo pervasivo che attanaglia la nostra società e i nostri ambiti di vita, che impedisce di stabilire relazioni sociali dotate di senso. Per questo è così importante sia per le singole persone, sia per i contesti sociali, curare cioè prendersi cura, avere a cuore, i rapporti con gli altri, creando relazioni affidabili entro cui ciascuno possa sentirsi a casa. Questo, in estrema sintesi, è il compito, arduo e affascinante, dell’educatore».

A dare corpo alle riflessioni della professoressa Boccacin sono state portate due testimonianze nell’ambito dei servizi specifici entro cui operano gli educatori della prima infanzia e della sanità.

Maria Letizia Bosoni, ricercatore di Sociologia, in riferimento al prendersi cura della prima infanzia tramite le relazioni con le famiglie, ha parlato del protagonismo dei bambini che non sono semplici recettori. Pertanto, ha invitato a investire sull’infanzia come una risorsa dell’intera società: «La relazione è una alleanza educativa che indica un obiettivo comune tra genitori ed educatori: la crescita dei bambini nell’ambito di una relazione positiva, evitando deleghe e sostituzioni, consente di generare qualcosa di nuovo, un capitale sociale, una risorsa in termine di relazione per mantenere coesa la comunità. Si tratta di relazioni che indicano creatività, soluzioni personalizzate con competenza e professionalità, relazioni non generiche ma generative».

Sul tema “Prendersi cura della salute: il compito delle relazioni”, Linda Lombi, ricercatore di Sociologia, ha parlato dell’importanza delle relazioni nell’ambito della salute e del ruolo dell’educatore nei contesti di cura: «Per reagire in maniera costruttiva è necessaria l’empatia, la capacità di mettersi nei panni dell’altro, di uno sguardo compassionevole e pronto a fornire una relazione autentica. Per questo “il cuore della medicina è la relazione”».

Nella seconda sessione del seminario sono stati presi in considerazioni esempi di buone pratiche nel prendersi cura delle relazioni socioeducative. Introdotte dalla professoressa Donatella Bramanti, docente di Sociologia dei processi culturali, la quale ha sottolineato che «le reti di cura sono l’elemento che fa la differenza nel non lasciare sole le persone quando si includono tutti i soggetti», sono state portate due testimonianze significative.

Nel primo intervento Mariagrazia Figini, responsabile dell’Associazione Cometa, OdV, Como, ha affermato che il lavoro di educatore è il migliore che ci sia: «Bambini e ragazzi hanno bisogno di adulti pensanti, che sono dentro un paragone continuo, avvalendosi di equipe multidimensionali e multidisciplinari. L’umano bisogna conoscerlo e per farlo occorre un tempo di condivisione».

Successivamente don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano e presidente dell’Associazione Kayròs, ha esposto alcuni dati di tale comunità su una devianza giovanile che è soprattutto maschile: «È molto importante oggi aiutare i ragazzi a prendere coscienza dei reati commessi in quanto non hanno la percezione della loro gravità, come tanti fatti di cronaca testimoniano. L’educatore è quello che aiuta senza giudicare, ma aiuta a prendere coscienza delle proprie condotte, aiuta a cambiare perché possa nascere qualcosa di più bello».

Un messaggio molto chiaro, frutto di questo incontro: la legge dei codici non basta, occorre puntare sul talento. Gli educatori non sono onniscienti ma si mettono in gioco volta per volta disposti a camminare nell’inedito, animati dal desiderio dell’incontro. La burocrazia non risponde ai bisogni dell’uomo, è solo il cuore che lo fa.

Un articolo di

Agostino Picicco

Agostino Picicco

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