È disponibile on line il secondo numero di Osservatorio Monetario (2/2023), la pubblicazione quadrimestrale che raccoglie i principali risultati delle ricerche economico-finanziarie effettuate dal Laboratorio di Analisi Monetaria (LAM) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con l’Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa (Assbb). Stabilità finanziaria, vigilanza e politica monetaria, il tema approfondito dal rapporto, che è stato presentato mercoledì 21 giugno e alla cui realizzazione hanno contribuito i docenti dell’Ateneo Andrea Boitani e Alberto Floreani, ed Elisa Coletti, Intesa Sanpaolo e Università dell’Insubria.
Il tema della instabilità finanziaria è ritornato prepotentemente alla ribalta nella primavera di quest’anno. Negli Usa si sono verificati tre casi di dissesto di banche medio-grandi: Silicon Valley Bank, Signature Bank of New York, First Republic bank. In tutti e tre i casi, le autorità americane hanno adottato soluzioni rapide nella gestione delle crisi, che tuttavia hanno addossato elevati costi al fondo di assicurazione dei depositi statunitense. In Europa un primario intermediario, Credit Suisse, è stato oggetto di un precipitoso e discusso salvataggio da parte delle autorità elvetiche. Poiché questi casi si sono verificati in un contesto di rapido rialzo dei tassi di interesse a seguito della inversione della politica monetaria, avvenuta a partire dall’inizio dello scorso anno, essi hanno riportato l’attenzione sul delicato rapporto tra politica monetaria e stabilità finanziaria. Tuttavia, i dissesti bancari hanno avuto origine principalmente in gravi problemi di gestione e in lacune nell’attività di vigilanza, che sono stati particolarmente evidenti nel caso delle tre banche americane entrate in crisi. A questi temi è dedicato il numero 2/2023 di Osservatorio Monetario.
Le tre banche statunitensi entrate in crisi avevano vissuto una notevole crescita dimensionale nel giro di pochi anni, finanziata prevalentemente raccogliendo depositi non assicurati da pochi soggetti, spesso connessi tra di loro. Questo aspetto, unitamente alle nuove tecnologie di comunicazione e di pagamento, ha reso particolarmente fragile la raccolta di queste banche, esponendole a fenomeni di bank run rapidi e massicci. Inoltre, il loro modello di business era molto concentrato verso alcuni settori: imprese high-tech, intermediari operanti nel settore dei crypto-asset, prestiti immobiliari: ciò ha esposto le banche agli shock idiosincratici che hanno investito quei settori. Il management di quelle banche ha sottovalutato il rischio di liquidità e di tasso di interesse a cui erano esposte; nella fase di normalizzazione della politica monetaria statunitense, che ha visto un aggressivo rialzo dei tassi di policy a partire dal marzo 2022, il rischio di tasso si è materializzato con ampie perdite di valore dei titoli in portafoglio. Sotto la pressione del ritiro del denaro da parte di alcuni grandi depositanti, le banche sono state costrette a liquidare in perdita una parte del portafoglio-titoli, inducendo altri depositanti a ritirare i loro depositi e avviando così una spirale negativa.
Le autorità di vigilanza, Federal Reserve Bank e Fondo di assicurazione dei depositi (FDIC), sono intervenute in ritardo nel segnalare al management le criticità e nel prendere provvedimenti tali da indurre la direzione delle banche ad adottare i necessari correttivi. In questo senso, un ruolo decisivo ha giocato la deregulation avvenuta nel 2018, che ha innalzato da 50 a 250 miliardi di dollari la soglia dimensionale oltre la quale applicare gli “standard prudenziali rafforzati”. La gestione delle crisi è avvenuta in tempi rapidi: la FDIC ha prontamente individuato istituti acquirenti per le banche entrate in crisi. Tuttavia, il costo complessivo delle tre operazioni di risoluzione per il Fondo di assicurazione è stato elevato: 35,5 miliardi di dollari; questo anche a causa della (discutibile) completa garanzia fornita ai depositi, inclusi quelli eccedenti il limite della copertura assicurativa.
Dall’analisi dei casi americani emerge che la visione, secondo cui le crisi bancarie sono dovute all’inversione della politica monetaria, appare semplicistica: un ruolo importante è stato giocato dalla cattiva gestione, dalla deregulation e dai ritardi della vigilanza. Ma soprattutto, tale visione non va generalizzata. A ben vedere, l’aumento dei tassi di interesse ha due effetti sulle banche, uno positivo e uno negativo. Da un lato, l’aumento dei tassi sulle attività a tasso variabile e su quelle a tasso fisso di nuova acquisizione determina un aumento dei ricavi. D’altro lato, l’aumento dei tassi di interesse incide negativamente sul valore di mercato delle attività a tasso fisso detenute dalle banche, come i titoli a medio-lungo termine. Quale effetto prevale? Dipende dal modello di business delle banche e dalla capacità del management di gestire i rischi (di tasso di interesse, di mercato, di liquidità) nonché dalla efficacia della vigilanza nel segnalare situazioni critiche e imporre correzioni.
Per le banche italiane, da quando la Bce ha iniziato ad aumentare i tassi di policy (a metà dello scorso anno) il margine di interesse è significativamente aumentato, contribuendo così alla loro redditività e, di conseguenza, alla loro solidità: lo spread tra tassi attivi e passivi è passato da circa un punto e mezzo a tre punti percentuali (dati ABI). Ciò è avvenuto grazie alla dinamica dei tassi sui prestiti alle imprese, che per tre quarti sono a tasso variabile. Qualche preoccupazione potrebbe venire dal portafoglio-titoli, in particolare quelli pubblici, che rappresentano oltre il 9% del totale attivo del sistema bancario italiano. Inoltre, il 70% dei titoli non sono valutati in bilancio al loro valore di mercato, bensì al costo storico: essi nascondono quindi perdite potenziali significative, che si tradurrebbero in perdite effettive se i titoli dovessero essere venduti prima della scadenza. Tuttavia, questa eventualità sembra remota: gli indicatori di liquidità regolamentari hanno generalmente valori elevati per le banche italiane; inoltre esse hanno notevoli quantità di titoli prestabili in garanzia alla banca centrale per accedere al rifinanziamento.
L’ultimo capitolo del rapporto analizza gli effetti che l’incremento dei tassi di interesse ha determinato sul settore assicurativo europeo e italiano. Tale aumento non ha determinato significativi impatti avversi sulla stabilità complessiva del sistema assicurativo, grazie all’ottima strutturazione del sistema di regolamentazione prudenziale (Solvency II). Tuttavia, l’entità e la rapidità dell’incremento dei tassi d’interesse hanno determinato problemi su alcuni segmenti di mercato, isolate tensioni per alcune compagnie e potrebbero determinare nel prossimo futuro ulteriori elementi di criticità.