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Stragi del ‘92, il tragico colpo di coda di Cosa Nostra

19 luglio 2022

Stragi del ‘92, il tragico colpo di coda di Cosa Nostra

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Il 1992 fu un anno terribile: il 23 maggio venne ucciso Giovani Falcone con la strage di Capaci e il 19 luglio Borsellino con l’attentato di via D’Amelio. Il 12 marzo era stato ucciso Salvo Lima e il 4 aprile il maresciallo dei carabinieri Guazzelli. Il 14 settembre l'attentato al commissario Calogero Germanà e il 17 l'omicidio di Ignazio Salvo. Altri assassini vennero progettati ma non realizzati, ad esempio contro Calogero Mannino. Molti di questi atti furono rivendicati da una sedicente “Falange Armata” ma la magistratura ha accertato che si trattò di delitti di mafia. Questa avrebbe continuato la sua strategia stragista nel 1993: il 26 maggio venne compiuto l’attentato di via dei Georgofili a Firenze, il 26 luglio quelli alle chiese di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano a Roma e un’automobile esplose a via Palestro a Milano. L’attentato contro Maurizio Costanzo invece fallì.

Fu una serie impressionante di azioni criminali, con cui la mafia cercò di dimostrare la sua forza. In realtà, la strategia stragista scaturì da una situazione di debolezza. Il 30 gennaio 1992, infatti, la Cassazione ribadì le sentenze precedenti del cosiddetto Maxiprocesso, confermando pienamente l’impianto accusatorio di Giovanni Falcone.  Fu un colpo durissimo per l’associazione denominata Cosa nostra, i cui capi avevano sempre sperato che le condanne dei suoi esponenti non venissero mai pronunciate o che venissero annullate nei vari gradi del processo. Gli atti compiuti successivamente dalla mafia tra il 1992 e il 1993 furono realizzati in reazione a quella sentenza della Cassazione che né i mafiosi né altri erano più in grado di modificare. Si trattò anzitutto di azioni di vendetta: Lima fu ucciso perché non aveva protetto i mafiosi come questi ritenevano dovesse fare (non sembra invece fondata l’ipotesi che volessero colpire indirettamente Andreotti); Falcone e Borsellino per la troppa passione che avevano messo nel perseguire la mafia, senza limitarsi a fare soltanto “il loro lavoro”. Con la strategia stragista – inusuale per la mafia - Cosa Nostra sperò anche di esercitare in qualche modo una pressione in grado di modificare gli effetti del Maxiprocesso. Ma era una strategia disperata, senza interlocutori e senza obiettivi chiaramente identificati. Lo stragismo mafioso del 1992-1993 non ha ottenuto risultati.  


Gli atti compiuti dalla mafia tra il 1992 e 1993 costituirono dunque un colpo di coda di Cosa Nostra dopo la grande vittoria ottenuta dallo Stato con il Maxiprocesso. È quanto hanno più volte messo in luce storici e giuristi di grande competenza, come Salvatore Lupo e Giovanni Fiandaca. Ma questa verità storica – per molti versi evidente – stenta ad essere accettata e riconosciuta. L’assassinio di Falcone e Borsellino viene spesso rappresentato come una rivincita della mafia, che avrebbe proseguito il suo corso grazie all’impotenza o, peggio, alla complicità dello Stato. Anche la coincidenza con il crollo del sistema dei partiti proprio in quegli anni è stata interpretata attribuendo alla mafia una raffinata strategia politica che questa non ebbe. Appartiene allo stesso tipo di narrazione anche l’ipotesi complottistica di una trattativa stato-mafia di cui non si è mai capito con esattezza quale sarebbe la sostanza (nel 2021 la Corte d’Appello di Palermo ha assolto gli imputati per la trattativa Stato-mafia perché il "fatto non costituisce reato" o "per non aver commesso il fatto").  

È singolare che questa rappresentazione di una mafia vincente nel 1992-93 non venga sostenuta dai mafiosi, ma dai loro avversari, da molti di coloro cioè che hanno fatto della lotta alla mafia un sincero impegno civile. È come se questo impegno avesse bisogno di immaginare la mafia perennemente vincitrice e lo Stato continuamente sconfitto. Indubbiamente, l’assassinio di Falcone e Borsellino fu una tremenda ingiustizia. I mafiosi uccisero due eroici servitori dello Stato che avevano assicurato alla giustizia molti pericolosi criminali, smantellando l’associazione mafiosa Cosa nostra. Ma l’indignazione per l’ingiustizia non deve far dimenticare che quegli assassini costituirono una vendetta contro gli autori di una sconfitta storica della mafia.

Un articolo di

Agostino Giovagnoli

Agostino Giovagnoli

Docente di Storia contemporanea - Università Cattolica

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