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Via D’Amelio, un trentennale con luci e ombre

19 luglio 2022

Via D’Amelio, un trentennale con luci e ombre

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Il trentennale della strage di Via D’Amelio giunge in un momento delicato. Proprio negli ultimi giorni il Tribunale di Caltanissetta ha assolto tre poliziotti imputati per il depistaggio delle indagini sulla strage. Questa assoluzione si aggiunge ai fallimenti di vari tentativi giudiziari di acclarare, se non perseguire, i responsabili di un grave sviamento delle indagini che per quasi vent’anni ha portato a una falsa verità e alla condanna di innocenti. Le indagini hanno portato all’attenzione diverse incongruenze e responsabilità, ma molti protagonisti sono ormai morti e il quadro degli eventi, ancora peggio quello giudiziario, presenta numerose lacune. Inevitabile che di fronte a questo ennesimo vicolo cieco si riaprano le ferite dei famigliari delle vittime, dei protagonisti di quegli anni, e che si infiammi la polemica.

La vicenda del depistaggio delle indagini e la mancanza di trasparenza sulle circostanze che portarono alla strage sollevano interrogativi importanti e inducono al pessimismo. Ma questo sentimento, pur comprensibile, non deve far dimenticare la strada percorsa in questi trenta anni e i risultati conseguiti. Anche per rendere giustizia, per quanto parziale al momento, a Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

In occasione del recente anniversario della strage di Capaci, le istituzioni e i commentatori hanno cominciato a rilevare con maggiore assertività che la lotta contro Cosa Nostra e le mafie ha portato a risultati importanti: ad oggi sono oltre 7mila i detenuti per reati di mafia e circa 700 coloro che scontano una pena nel regime speciale del 41-bis. Se le stime, da prendere sempre con cautela, indicano che gli affiliati alle principali mafie potrebbero essere circa 20mila, si può ritenere se non altro che il contrasto giudiziario alle mafie abbia inferto colpi molto duri alle organizzazioni, disarticolandole e portandole a una situazione di crisi profonda. Senza dimenticare migliaia di beni sequestrati e confiscati, di collaboratori di giustizia, e molte altre misure.

Spesso, quando si constatano questi risultati, ci si sente ribattere che le mafie sono mutate, che non ricorrono più alla violenza e che si dedicano agli affari. Queste obiezioni, pur fondate su un evidente calo della violenza mafiosa, non sempre considerano che questi cambiamenti non sono tanto il frutto di scelte strategiche delle mafie, ma piuttosto la reazione ad anni di impegno e di contrasto da parte dello Stato. Un’azione incisiva che si è fondata sull’esperienza e sull’insegnamento di magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che avevano sviluppato un approccio innovativo basato su un lavoro di squadra, indagini patrimoniali concatenate, collaboratori di giustizia, e molto altro. Senza trascurare un importante processo di cambiamento nella società italiana, dalle scuole alle parrocchie, dalle università al terzo settore, dalle associazioni di categoria alle imprese che hanno sempre più eroso il consenso sociale (nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa) e la sottovalutazione (nelle altre regioni) di cui per anni avevano goduto le mafie.

Per onorare le figure di Falcone e Borsellino sarebbe forse giunto il momento di aprire un dibattito pubblico su quale sia l’obiettivo ultimo del contrasto alle mafie, non tanto sotto il profilo giudiziario perché ovviamente i procedimenti penali seguono i reati commessi, quanto sotto il profilo politico e sociale. D’altronde proprio Falcone aveva scritto “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”. Dato che la pressione giudiziaria sui mafiosi è ormai molto elevata, quale fine auspichiamo? Quali reazioni è lecito attendersi? E quali misure, e con quali esiti, la società intende replicare? Dove vogliamo essere tra dieci o vent’anni su questo fronte così delicato della vita sociale del paese?

Non sembra purtroppo che questo dibattito riesca a prendere piede. Politicamente, si tratta di un campo minato che nessuna forza politica sembra voler attraversare, per una carenza di visione generalizzata e per il susseguirsi di nuove priorità come la situazione economica, il contrasto alla pandemia, e il conflitto in Ucraina. Forse, parte di queste difficoltà è collegata agli aspetti più segreti e strettamente legati al rapporto tra le mafie, la politica e le istituzioni. E spiegherebbe così anche le difficoltà che da anni si incontrano comprendere appieno le dinamiche che portarono alla strage di Via D’Amelio.

Un articolo di

Francesco Calderoni

Francesco Calderoni

Docente di Criminologia | Università Cattolica-Transcrime

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