Ci sono tanti modi per fare team building. Uno di questi è provare a mettersi nei panni degli altri. Lo straniamento che produce l’immedesimarsi in situazioni lontane da quelle che si vivono nella quotidianità aiuta a mettere a fuoco ciò che conta veramente, riscoprendo il significato di parole come “cura”, “condivisione”, “ascolto”, “collaborazione”, “comprensione”, “fragilità”, alcune delle quali a torto pensiamo siano bandite dai luoghi di lavoro. È quello che hanno provato a fare martedì 1° ottobre le dipendenti e i dipendenti dell’Area Pianificazione, Amministrazione e Controllo di Gestione della Università Cattolica, partecipando a una giornata di formazione con Caritas Ambrosiana.
Immaginate di perdere casa e lavoro e di trovarvi a passare la notte per strada. Mentre preparate un giaciglio di fortuna, inizia a piovere. Quando state per prendere sonno, nel buio udite i rumori di una rissa che si sta svolgendo intorno a voi. Siete spaventati, rimanete all’erta, ma la fatica prende il sopravvento, vi addormentate. Al risveglio, la mattina: un’amara sorpresa. Scoprite che qualcuno vi ha rubato lo zaino con le poche cose che vi erano rimaste: qualche vestito, i documenti, il cellulare. Siete disorientati, confusi. Il riparo non è stato sufficiente e vi accorgete di essere bagnati fradici. Vi sentite la febbre e cominciate ad avere fame. Che cosa fate? Chiedete aiuto a qualcuno? E a chi? Ad un vostro amico o familiare? Ma allora dovreste spiegargli perché vi trovate in quella situazione: siete sicuri di volerlo fare? Potreste andare alla polizia per denunciare il furto. E se gli agenti facessero domande alle quali non potete rispondere? Forse per il cibo potreste rimediare qualcosa da quella piccola bottega all’angolo, il tipo al banco sembra simpatico ma voi siete davvero malmessi: non si spaventerà?
Al Rifugio notturno di Caritas Ambrosiana, durante una simulazione, alcuni impiegati e impiegate dell’Ateneo, aiutati da operatrici sociali dell’organismo pastorale della Diocesi di Milano, hanno provato a rispondere alle domande che qualsiasi persona è costretta farsi quando deve affrontare un’esperienza di grave emarginazione, come la perdita della propria dimora e del reddito. Al piano soppalcato del centro di accoglienza, ricavato all’interno di uno dei tunnel ferroviari che passano sotto i binari della stazione centrale di Milano, il gruppo è stato accompagnato nel mondo parallelo dei senza dimora. Come attraverso uno stargate, oltrepassato un arco fatto di cartapesta e compensato, il team si è trovato in uno spazio semi buio nel quale erano stati lasciati degli oggetti: qualche cartone, qualche telo di cellophane, delle coperte, un paio di forbici. L’ équipe che conduceva il gioco di ruolo ha quindi iniziato il racconto spingendo i e le partecipati a immedesimarsi nella storia.
Nel frattempo, al piano di sotto, un’altra squadra si è unita al laboratorio di poesia, che ogni settimana coinvolge gli ospiti del centro di accoglienza. Ognuno, a turno, ha condiviso un ricordo personale legato al Natale. Come succede in questo tipo di incontri tenuti da volontari e volontarie, le persone hanno letto i loro componimenti: un modo per esprimere desideri, speranze ed emozioni e trovare una risposta a bisogni non meno urgenti di un letto dove passare la notte o di un piatto caldo.
D’altra parte, del cibo se ne stavano già occupando altri. A poca distanza dal Rifugio notturno, nel quartiere di Greco, si preparava la cena. Altri colleghi e colleghe hanno confezionato taralli, biscotti, marmellate per le torte che sarebbero state servite agli ospiti la sera sui bellissimi tavoli del Refettorio Ambrosiano: tutti pezzi unici realizzati da noti designer che fanno assomigliare questa mensa per i poveri a un ristorante stellato. Apparentemente un’attività esclusivamente manuale, ma che ha richiesto la capacità di organizzarsi e di motivarsi, dividendosi i compiti, coordinando le varie fasi della preparazione, tenendo a mente l’obiettivo comune: far trovare un pasto pronto dopo poche ore a persone i cui sguardi quel giorno, forse, non avevano ancora incrociato un volto amico.
Al termine dell’attività con i formatori della società Askesis, si è riflettuto su quello che era accaduto durante le tre prove della mattina e su come trarne dei suggerimenti per la vita di ufficio.
«In ogni tipo di lavoro esistono sempre due componenti. Non si può mai prescindere della dimensione del “fare con”, perché senza la collaborazione degli altri, non si può realizzare davvero nulla di buono. Ma c’è anche un altro aspetto, il “fare per”. Ognuno di noi, deve chiedersi “per chi” e “per che cosa” lavora. Giornate come questa aiutano a riflettere su queste domande», ha detto nel suo saluto il direttore dell'Area Alessandro Tuzzi.
Il team building rientra tra le attività di formazione della Funzione Risorse Umane della Università Cattolica. È rivolta al personale tecnico e amministrativo di tutte le sedi dell’Ateneo, attraverso il coinvolgimento dei direttori e delle direttrici delle diverse aree e funzioni. Nel tempo, sono state proposte varie esperienze, grazie alla collaborazione con organizzazioni diverse, impegnate nell’abito della formazione, della assistenza e del volontariato.