NEWS | vita e pensiero

Toniolo e il dono indispensabile nell'economia

15 febbraio 2022

Toniolo e il dono indispensabile nell'economia

Condividi su:

Martedì 15 febbraio, alle ore 16.00, nella Sala Negri da Oleggio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (largo Gemelli, 1 – Milano) sarà presentato il volume dell’editrice Vita e Pensiero “Economia  umana. La lezione e la profezia di Giuseppe Toniolo: una rilettura sistematica”, a cura di monsignor Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Foligno. L’evento, presieduto dal direttore del Dipartimento di Politica economica Marco Vivarelli, sarà introdotto dai saluti di monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, Antonella Occhino, preside della Facoltà di Economia, Aldo Carera, docente di Storia economica. Seguiranno, poi, gli interventi di alcuni docenti della Cattolica che, a partire dalla propria prospettiva disciplinare, approfondiranno i capitoli del libro. Tra loro, Carlo Bellavite Pellegrini, Luigi Campiglio, Raul Caruso, Lorenzo Esposito, Marco Grazzi, Giuseppe Mastromatteo, Vito Moramarco. Le conclusioni dell’iniziativa sono affidate all’autore del libro. 

Pubblichiamo di seguito uno stralcio della prefazione al volume dell’economista Stefano Zamagni.


Non è capace di futuro la società in cui si dissolve il principio di fraternità; non c’è felicità in quella società in cui esiste solamente il ‘dare per avere’ oppure il ‘dare per dovere’. Ecco perché, né la visione liberal-individualista del mondo, in cui tutto (o quasi) è scambio, né la visione stato-centrica della società, in cui tutto (o quasi) è doverosità, sono guide sicure per farci uscire dalle secche in cui la seconda grande trasformazione di tipo polanyiano, oggi aggravata dall’evento pandemico, sta mettendo a dura prova la tenuta del nostro modello di civilizzazione.

C’è un motivo specifico per compiacerci del libro di monsignor Domenico Sorrentino, "Economia umana. La lezione e la profezia di Giuseppe Toniolo: una rilettura sistematica" (Vita e Pensiero). Si tratta di ciò. Perché tanta parte dell’odierno pensiero sociale, per quanto raffinato ed elegante, è sterile, incapace cioè di far presa sulla realtà e quindi incapace di suggerire linee di azione volte al bene comune? La ragione principale è che, proprio a partire dal momento (cioè dagli anni Settanta) in cui globalizzazione e quarta rivoluzione industriale hanno iniziato a imprimere all’economia una direzione affatto nuova, si è consumata la separazione tra sfera dell’economico e sfera del sociale, attribuendo alla prima il compito di produrre ricchezza (senza eccessive preoccupazioni circa il modo in cui questo può avvenire, rendendo così l’etica un ingombro inutile, anzi dannoso), e alla seconda sfera il compito di provvedere alla sua redistribuzione.

Per tale via si è arrivati a credere che una società potesse progredire sulla via dello sviluppo umano integrale tenendo tra loro disgiunti il codice dell’efficienza che, unitamente a un ben definito insieme di regole, basterebbe a far funzionare bene il mercato, e il codice della solidarietà che, sotto la guida vigile dello Stato, garantirebbe la giustizia distributiva. Donde il paradosso che affligge le nostre società: per un verso si moltiplicano le prese di posizione a favore di coloro che, per ragioni diverse, restano indietro o addirittura esclusi dalla gara del mercato. Per l’altro verso, tutto il sistema di valori (si pensi ai criteri di valutazione dell’azione individuale, allo stile di vita, al discorso sull’educazione ecc.) è centrato sull’efficienza.

C’è allora da meravigliarsi se oggi le diseguaglianze sociali vanno aumentando pur in presenza di un aumento globale della ricchezza? E se gli indicatori che misurano la felicità pubblica registrano diminuzioni continue dopo che il reddito pro-capite ha superato una certa soglia? E se il principio di meritorietà viene maldestramente confuso con la meritocrazia, come se si trattasse di sinonimi? E se la reciprocità viene confusa con l’altruismo ovvero con la filantropia? E se i beni comuni (acqua, aria, territorio, conoscenza ecc.) vengono presi e trattati come se fossero beni pubblici?

Ebbene, l’accorato appello che l’Autore di questo denso saggio ci invia, riprendendo con acume critico il pensiero di Toniolo, è quello di restituire il principio del dono come gratuità – la donazione non è sufficiente – alla sfera pubblica. Sorrentino ci dice che la cultura donativa è uno dei presupposti indispensabili affinché Stato e mercato possano ben funzionare in vista del bene comune. Senza pratiche estese di dono si potrà anche costruire un mercato efficiente e uno Stato autorevole (e perfino giusto), ma non si riuscirà mai a superare quel «disagio di civiltà», di cui parla S. Freud nel suo saggio famoso.

Due infatti sono le categorie di beni di cui non possiamo fare a meno: beni di giustizia e beni di gratuità. I primi – si pensi ai beni erogati dal welfare state – fissano un preciso dovere in capo a un soggetto – tipicamente l’ente pubblico – affinché i diritti dei cittadini su quei beni vengano soddisfatti. I beni di gratuità, invece, fissano un’obbligazione che discende dal legame che ci unisce l’un l’altro. Infatti, è il riconoscimento di una mutua ligatio tra persone a fondare l’obligatio. E dunque mentre per difendere un diritto si può, e si deve, ricorrere alla legge, si adempie a un’obbligazione per via di gratuità reciprocante. Mai nessuna legge potrà imporre la reciprocità e mai nessun incentivo potrà favorire la gratuità. Eppure non v’è chi non veda quanto i beni di gratuità siano importanti per il bisogno di felicità che ciascun uomo si porta dentro. Efficienza e giustizia, anche se unite, non bastano a renderci felici.

Il Novecento ha cancellato la terziarità nella sua furia costruttivista. Tutto doveva essere ricondotto o al mercato capitalistico o allo Stato o tutt’al più a un mix di queste due istituzioni basilari a seconda delle simpatie ideologico-politiche dei vari attori sociali. È oggi acquisita la consapevolezza secondo la quale il paradigma bipolare ‘stato-mercato’ abbia ormai terminato il suo corso storico e che ci si stia avviando verso un modello di ordine sociale tripolare: Stato, mercato, comunità, vale a dire pubblico, privato, civile. La modernità si è retta su due pilastri: il principio di eguaglianza, garantito e legittimato dallo Stato; il principio di libertà, reso possibile dal mercato. La post-modernità ha fatto emergere l’esigenza di un terzo pilastro: la reciprocità, che traduce in pratica il principio di fraternità.

Ecco perché questo libro va salutato con simpatia e ne va favorita la diffusione, affinché altri studiosi e ricercatori, ripercorrendone le tracce, aggiungano nuovi anelli a una catena che, con il tempo, non potrà che allungarsi e rafforzarsi. Ha scritto Antoine de Saint Exupery che «la perfezione non si ottiene quando non c’è più nulla da aggiungere, bensì quando non c’è più nulla da togliere». A questo libro – nel quale non c’è nulla da togliere – auguro il successo, di lettura e di critica, che esso ampiamente merita.

 


Per partecipare in presenza è necessario prenotarsi

attraverso una mail a dip.politicaeconomica@unicatt.it ed essere in possesso del Green Pass Rafforzato.

Per partecipare da remoto cliccare QUI

Prefazione di

Stefano Zamagni

Stefano Zamagni

Presidente Pontificia Accademia delle Scienze sociali

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti