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Un Islam tra de-mistificazione e dialogo

20 aprile 2022

Un Islam tra de-mistificazione e dialogo

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Da cinque anni, nel sacro mese di Ramadan, i corsisti del Master in Relazioni d’aiuto in contesti di sviluppo e cooperazione nazionale ed internazionale, vengono ospitati dal Centro Culturale Islamico di Saronno. Un appuntamento che si è rinnovato anche quest’anno dove i ragazzi, accompagnati dal coordinatore didattico Davide Scotti, venerdì 8 aprile, hanno vissuto questa esperienza. La testimonianza in presa diretta di Gaia Bugamelli, studentessa del master.



Niente cupola dorata né ornamenti dal mondo arabofono ad accoglierci all’ingresso. Il Centro Culturale Islamico di Saronno è un edificio che da fuori non distrarrebbe dal monotono susseguirsi di abitazioni e capannoni lungo la strada, se non fosse per le bandierine che riprendono il clima di festa tipico di Paesi a maggioranza musulmana.

«L’edificio all’occidentale rispecchia l’appartenenza all’Italia, un sentito importante per persone che qui hanno emesso i loro primi vagiti» ci racconta Saif Abouabid, coordinatore delle attività del Centro. «Volevamo, con questo luogo, rispecchiare due anime». Un’architettura mista di elementi strutturali italiani e musulmani, una palazzina dal tetto spiovente a pochi passi da un giardino che converge al centro in una piccola fontana all’orientale piastrellata di bianco con dei disegni blu.

Procediamo all’interno dell’edificio, dove è ospitata una mostra su Muhammad, «Il modello umano più completo in ogni aspetto della vita». Esito di trent'anni di studi, è l’unica mostra esaustiva a livello nazionale sul profeta, «frutto del lavoro di un pool di cento sapienti», ci racconta Imem che, insieme ad altre giovani del Centro, si è presa in carico di accompagnare il pubblico nella comprensione della vita del personaggio a cui per primo furono rivelate le parole di Dio (Allah) trascritte nel Corano. Le nostre guide ci raccontano tante cose, invitandoci al confronto su aspetti critici della vita del profeta, episodi con cui spesso si stigmatizza questa religione ancor prima di approfondirne la conoscenza. “Maometto il profeta sanguinario”, “la guerra santa”, “l’uomo con le spose bambine”, “ostile ai cristiani e blasfemo”: una mostra che ne de-mistifica la memoria, prestando voce a chi di questa figura ha studiato ogni aspetto per anni, così per come ce ne ha lasciato traccia la storia.

Siamo ospitati al Centro nel sacro mese del Ramadan, tema che approfondiamo seduti in cerchio sul tappeto della moschea, onorati dalla presenza dell’Imam Najib Al Bared, guida spirituale della comunità. É una stanza alta e luminosa, dove oltre mille persone in questo mese vi pregano quotidianamente; gli uomini da una parte, le donne all’altra. Divisi da una paratia in legno che percorre tutta la parete, ma uniti nella preghiera che riecheggia dentro le mura verticali sopra i tappeti rossi dove centinaia di fedeli si dispongono uno accanto all’altro, piede contro piede, in una sequenza di gesti affascinante e piena di solennità per chi li osserva da non professante per la prima volta.

Saif ci racconta del Ramadan, il mese dell’anno in cui i fedeli digiunano in commemorazione della rivelazione del Corano a Muhammad. Facciamo tantissime domande, siamo curiosi di sapere, vogliamo avere conferma o meno di quello che abbiamo sentito in giro a diverso titolo. Saif e le giovani accompagnatrici ci rispondono pazientemente, tentano di esaudire la nostra sete di conoscenza chiarendoci le ritualità di questo mese e raccontandoci i loro piccoli riti familiari, prima di lasciare spazio all’Imam. Un altro uomo si siede con noi dandoci il benvenuto «anche a casa vostra, nella casa di Dio»; ci invita ad «essere utili al meglio delle proprie possibilità», ricordandoci l’importanza di estendere i nostri sforzi alla comunità nella quale viviamo. Assistiamo alla preghiera del pomeriggio, un momento di contatto diretto con Allah per i musulmani presenti, di ammirazione silente per noi seduti in fondo alla moschea.

Proseguiamo poi divisi in piccoli gruppi di lavoro, ci viene dato modo di confrontarci personalmente con le giovani del centro che ci hanno accompagnato finora. “Ma, il motivo per cui poi vogliono anche una moschea qui adesso…”. Una delle argomentazioni stereotipiche più comunemente diretta a persone di fede musulmana residenti in Italia. Come se la loro fede fosse qualcosa che può accendersi e spegnersi a comando, non un modus vivendi che permea molte sfere della quotidianità, un aspetto, quest’ultimo, spesso difficile da cogliere per chi con questa religione ha poca familiarità. «I musulmani come me [...] noi, quando siamo venuti [in Italia], siamo venuti prima di tutto per lavorare [...], ma siamo venuti tutti, come persone», ci racconta il direttore del Centro Culturale Islamico di Saronno, mettendo in luce l’assurdità del presumere che delle persone si lascino alle spalle anche la propria fede nel momento in cui emigrano abbandonando il proprio Paese natale.

Oggi, sempre di più, “questi musulmani” che spesso col pensiero ghettizziamo in realtà lontane, sono persone di seconda generazione: nate e cresciute dentro i confini della nostra Penisola. «Pensavo di non poter conciliare il mio essere italiana col mio essere araba e musulmana», invece poi ho scoperto che «posso essere tutto», ci racconta Chaima, laureanda in Sociologia a Milano. Parla due lingue, arabo e italiano, di fede è musulmana e risponde alle nostre domande sicura di sé e con una sincerità spiazzante. Ci racconta della confusione che spesso si fa tra cultura e religione, omologando tutti i musulmani ad arabi, quando solo il 20% dei praticanti questa fede lo sono. Lei è di origini tunisine, e passa ogni estate nella terra d’origine della sua famiglia, ma non per questo si sente meno italiana di noi. All’iftar (il pasto serale con cui si spezza il digiuno nel sacro mese di Ramadan), in famiglia si servono a tavola cous cous e lasagne, insieme, sulla stessa tovaglia.

Ci salutiamo dopo un pomeriggio intenso, alla scoperta di una religione per molti di noi prima d’oggi quasi sconosciuta, un’idea di Islam decodificata sulla base di stereotipi e sentiti comuni che spesso hanno poco a che vedere con quello che abbiamo avuto modo di conoscere grazie a questa visita. Un incontro importante per vivere le differenze come occasione di confronto curioso e di arricchimento, sia personale che professionale, soprattutto per studenti di un master che fa della relazione il primo strumento di lavoro.

Il racconto di

Gaia Bugamelli

Studentessa Master in Relazioni d’aiuto in contesti di sviluppo e cooperazione nazionale ed internazionale

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