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Una cartolina dall’Europa

06 maggio 2021

Una cartolina dall’Europa

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Il turismo è il settore che ha sofferto di più a causa della pandemia, soprattutto in quei Paesi, come l’Italia, dove molte aree vivono di turismo, letteralmente; vi trovano non solo crescita e lavoro, ma anche identità. Lo stesso vale per i turisti: il turismo soffre perché non possiamo dare sfogo a un bisogno naturale che ci definisce, che è quello di essere viaggiatori. Trovo rivelatori alcuni dati del 2020, che mettono nero su bianco come, nella pandemia, il digitale sia stato l’unico settore a crescere, alimentato da telelavoro, streaming e videochiamate: ma è cresciuto solo di una frazione rispetto a quanto invece sia crollato il turismo. Il che spiega in numeri, se ce ne fosse bisogno, che uno schermo non vale un viaggio.

Ma il problema economico è il più pressante. Per quanto subitanea, forse addirittura esilarante, potrà sembrare la ripresa, una volta che le condizioni la consentano, rimarranno cicatrici profonde nell’ecosistema. Nel momento in cui ci potremo togliere la mascherina, sarà nostro dovere contare quanti ristoranti, bar, alberghi, agenzie turistiche avranno dichiarato bancarotta, e quanta disoccupazione la crisi abbia aggiunto al totale pre-Covid.

A Bruxelles, dove, come ovunque, da ottobre si convive con le restrizioni, arrivano forti eco di frustrazione da chi si chiede cosa stia facendo l’Europa. Ho l’impressione che la rabbia sia alimentata anche dalla confusione di non sapere esattamente con chi ce la si stia prendendo, nel gridare all’Europa, il che è comprensibile, perché l’Europa non sa fare l’influencer, e dovrebbe imparare.

Un poco di chiarezza: l’Europa è la casa comune i cui condomini hanno stabilito cosa pertenga agli spazi, quindi agli interessi comuni, e perciò vada gestito dal comitato o dall’amministratore; cosa si possa decidere insieme; e cosa invece debba rimanere saldamente nel salotto di casa. Turismo, salute, scuola, gioventù, sport, industria sono in salotto, responsabilità esclusiva nazionale.

Perciò, mentre preparo la valigia per tornare in Italia a trovare mia madre che non vedo da agosto, e penso a stamparmi il certificato medico che spiega, in inglese in francese ma non in italiano, che ho fatto gli anticorpi, ma non il vaccino, per sicurezza mi prenoto anche un tampone, sperando che l’esito arrivi per tempo, e cerco di capire quanto dura la quarantena all’arrivo e al ritorno, mi domando non dove abbia sbagliato l’Europa, ma come possa aiutare.

Sul turismo, in sostanza, in tre modi: può dare fondi, può facilitare il coordinamento tra Paesi, e può far parlare tra loro governi, industria, esperti, e parti sociali.

Sulla questione dei soldi, vi è una quantità di risorse a disposizione, e il bisogno è forte. Verso la metà di maggio la Commissione europea pubblicherà una guida ai fondi, che spiega dove si trovano e come fare domanda. Mappa necessaria perché è purtroppo vero che la varietà di dipartimenti in seno alla Commissione genera confusione, e la confusione nasconde le opportunità.

Ma sui fondi l’Unione europea non è solo attrezzata: è anche solidale. La primavera scorsa, di fronte alla pandemia, la Commissione ha proposto a stretto giro un piano di rilancio da 750 miliardi per stimolare la ripresa dell’economia, in chiave verde, digitale e di inclusione sociale, oltre ad un secondo piano da 100 miliardi di euro (SURE), per combattere la disoccupazione.

Un esempio di coordinamento, che aspettiamo con impazienza, è la proposta preparata dalla Commissione per un lasciapassare digitale, riconosciuto da tutti i Paesi Ue, per i viaggiatori che siano in grado di provare di essere pienamente vaccinati, di avere un tampone recente con esito negativo, o di aver sviluppato gli anticorpi dopo essere guariti dal virus. Il certificato uniformerebbe le regole di viaggio tra Paesi, e facendo chiarezza lancerebbe a tutti gli effetti la stagione estiva. I governi stanno negoziando incessantemente da settimane per accordarsi sugli aspetti pratici.

Parlarsi è fondamentale per collaborare. Molto si può criticare all’Europa, a partire dalle lungaggini burocratiche, o dalla lentezza con cui passa da un’idea ad una legge. Rimane però il fatto che, se non ci fosse una sede europea con sale equipaggiate per ore di negoziazioni multilingue, spesso protratte nella notte, con ventisette poltrone tutte uguali intorno al tavolo, dette negoziazioni verrebbero semplicemente organizzate altrove: da qualcuno con abbastanza influenza da poterle convocare, e con abbastanza potere da decidere chi invitare. Stati piccoli e di scarso peso economico, Stati indebitati fino al collo, o governi di dubbia reputazione non sarebbero sulla lista, e, come nelle beghe di scuola, rimarrebbe loro solo di poter recriminare in corridoio, o costituirsi in agglomerati alternativi satellitari.

Il risultato finale sarebbe quello auspicato dal professore di fisica del liceo, che nei giorni di verifica ci faceva distanziare i banchi invocando la massima entropia, così che fosse impossibile copiare, o, nel migliore dei casi, scambiare note, soluzioni, idee, solidarietà. Non cambia molto quando si cresce. Copiare agli esami rimane una pessima idea; ma le persone hanno bisogno di scambi, contatti e ispirazione, e i governi sotto fatti di persone. L’Europa le avvicina.

 


Disclaimer – Le opinion espresse in questo articolo sono personali, e non possono, in nessuna circostanza, venire interpretate come posizioni ufficiali della Commissione europea

Intervento di

Misa Labarile

Misa Labarile

Commissione Europea, DG Mercato Interno - Alumna ASERI

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