L’Università che cosa può fare a riguardo? Innanzitutto, «dare spazio a riflessioni e dibattiti per consentire una maggiore comprensione dei meccanismi che stanno dietro determinati comportamenti. Le istituzioni come il nostro Ateneo hanno il compito di fare da cassa di risonanza per mettere a fuoco azioni sociali che possano portare al cambiamento», ha suggerito la professoressa Iafrate. Vanno in questa direzione tutte le attività della neonata Task Force sulle pari opportunità, composta da circa quaranta componenti in ambito accademico, amministrativo e studentesco che operano nel Gender Equality Plan (GEP) e nella GEP Unit, nel Comitato per le Pari Opportunità, nel Tavolo del Piano strategico d’Ateneo. «La filosofia che accomuna questi organismi è un’idea di lavoro che si appoggia su una storia di competenze tecniche e scientifiche che da sempre caratterizzano la nostra Università. Basta sfogliare le guide delle nostre Facoltà per rendersi conto di quanto la Cattolica si sia sempre preoccupata di assumere in tutte le sue discipline un punto di vista antropologico. La Task Force ha raccolto questa eredità e ha provato a rilanciarla. Dignità della persona, valorizzazione delle differenze, protezione della fragilità sono le nostre parole chiave per garantire il rispetto dei diritti umani».
Una violenza, quella di genere, che non è solo «un affare di famiglia» bensì un «affare sociale». Lo definiscono così infatti alcuni protagonisti del docufilm di Silvio Soldini e Cristiana Mainardi dal titolo “Un altro domani”, proiettato in aula e dal quale è scaturito un interessante dibattito su un fenomeno ancora molto diffuso nel nostro Paese. «C’è bisogno di un diritto sapiente, equilibrato e che sappia mettere al primo posto la dignità delle persone che subiscono violenza e, per questo motivo, devono esser avvicinate con cura per evitare una loro vittimizzazione secondaria», ha precisato Claudia Mazzucato, docente di Diritto penale nella Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica. Si tratta in ogni caso di «situazioni delicatissime dove, se ci muoviamo solo in ottica di sorveglianza e controllo, rischiamo di perdere tutte le libertà». Ne sa qualcosa Francesca Garbarino, criminologa clinica e vicepresidente del Centro italiano per la promozione della mediazione (Cipm), nonché coordinatrice del progetto Uomo e dell’Unità di trattamento intensificato per autori di reato connessi alla violenza di genere presso la Casa di Reclusione di Milano-Bollate, raccontato anche nel docufilm di Soldini e Mainardi. «Gli autori di reato sono portatori di grosse problematiche con una complessità della violenza che deriva da aspetti culturali e biografici. È determinante che la legge sancisca una responsabilità penale che, spesso, chi compie questa tipologia di azioni non percepisce, sentendosi a sua volta vittima e non carnefice. Di qui l’importanza del lavoro che portiamo avanti al Cipm per accompagnare gli autori di reato, tramite la mediazione, a prendere coscienza di quanto hanno commesso e di entrare in contatto con la sofferenza della vittima».
Perché, come ha detto la professoressa Iafrate, «attraversare il dolore con il coraggio della verità ci fa credere nel rilancio delle relazioni. E questo è reso meno utopistico se lavoriamo insieme. Oggi qui noi possiamo essere diversi e gettare un seme che può generare speranza». E i semi, si sa, sono fatti per fiorire.