Così, il 14 agosto 1981, Giovanni Paolo II iniziò il suo riconoscente saluto al personale del nostro Policlinico Universitario mentre, finalmente ristabilito, si accingeva a lasciare l’Ospedale romano che il medico Agostino Gemelli aveva tenacemente voluto realizzare, unitamente alla Facoltà di Medicina dell’Ateneo, e nel quale il Santo Padre ricevette le prime decisive cure e fu assistito nel percorso di guarigione.
Un luogo che Egli riconobbe come “casa” per l’affetto devoto dei medici, del personale e degli altri ricoverati, uniti a lui nel momento della sofferenza.
Nel nostro Policlinico, tra la gente del Gemelli, irruppe in quei giorni la storia, con la potenza di un evento in sé sconvolgente – angosciante per ogni cristiano, preoccupante per tutti i cittadini di un mondo diviso e inquieto – che tutti sentiamo di avere in prima persona vissuto, perché le immagini ci hanno portato sul luogo del dramma, con un coinvolgimento e una simultaneità senza precedenti.
Nel commentare, molti anni dopo, quanto accaduto in Piazza San Pietro il 13 maggio 1981, San Giovanni Paolo II ebbe a dire: «Tutto ciò è stata una testimonianza della grazia divina. Agca sapeva come sparare, e sparò certamente per colpire. Soltanto, fu come se qualcuno avesse guidato e deviato quel proiettile». E in quella «grazia» il Santo Padre non leggeva soltanto la coincidenza con il giorno dedicato alla Madonna di Fatima, ma soprattutto la preghiera che aveva unito tutta la Chiesa per la sua salvezza, una preghiera che, con il suo elevarsi commosso e tenace, trasformava la violazione del corpo dell’erede di Pietro in un ulteriore slancio del suo messaggio apostolico: Sanguis martyrum semen christianorum. Perché, ricordava, nella sofferenza, nella violenza, si nasconde una promessa, di gioia e di salvezza, per tutto il Popolo di Dio: «il dono della grazia non è come la caduta; se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini» (San Paolo, Lettere ai Romani, 5,15).
La ricostruzione di quei fatti presenta ancora molte zone d’ombra e le responsabilità ultime non sono mai state chiarite. Forse un giorno ci sarà restituita una verità attendibile. Ma quello che è accaduto quaranta anni fa non è per la nostra Università e per il Policlinico consegnato al passato. È stato l’inizio di un particolare e profondo legame che tuttora ci unisce, attraverso un sentimento di particolare devozione a San Giovanni Paolo II. Un legame costruito su un dialogo fatto, più che di parole, di gesti che sono testimonianza: l’accettazione della sofferenza, l’offerta incondizionata di sé alla propria missione; la cura, fino alla soglia di quanto la conoscenza e la passione dell’uomo possono.
Il web reportage ci riporta alla memoria quei giorni e ne sottolinea il significato: sono perciò grato al nostro Assistente Ecclesiastico Generale, Mons. Claudio Giuliodori, e a tutti gli autori che vi hanno collaborato per queste riflessioni sulla figura di San Giovanni Paolo II, la cui vicinanza ha rappresentato per l’Università tutta un’ispirazione e un esempio da consegnare alle generazioni future.