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Vedere con gli occhi degli altri
Al via martedì 18 febbraio un ciclo di video-incontri, promossi dal Creleb, dedicati alla cultura libraria e rivolti a insegnanti e bibliotecari
| Francesco Chiavarini
27 gennaio 2022
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In occasione del centenario della morte dello scrittore Giovanni Verga (Catania, 27 gennaio 1922), il professor Giuseppe Langella, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea nella Facoltà di Lettere e Filosofia, ci racconta il più autorevole esponente della corrente letteraria del “Verismo” con una riflessione sul romanzo Mastro don Gesualdo, dove il protagonista è un uomo che sacrifica la vita dietro alle logiche economiche.
Il tema ossessivo del Verga maggiore è lo scontro drammatico tra due “religioni” inconciliabili: quella della “famiglia” e quella della “roba”.
Nei romanzi del “ciclo dei Vinti” come nelle novelle della stagione verista, la smania di arricchirsi, di possedere, di accumulare proprietà, ha il sopravvento su tutto, schiacciando e sacrificando anche il mondo degli affetti.
È emblematica, in questo senso, la vicenda narrata nel Mastro don Gesualdo (1889), dove l’etica capitalistica sconfina, appunto, in “religione della roba”. Il protagonista incarna esemplarmente la figura del self-made man. Assistito da un fiuto infallibile per gli affari e a costo di ogni rinuncia davanti al valore supremo del guadagno, Gesualdo Motta non solo diventa il re del mattone, aggiudicandosi l’appalto delle opere pubbliche e gestendo, dalla fabbrica al cantiere, tutto il settore edile, ma ottiene anche il controllo dell’intera produzione agricola di un vasto territorio, imponendo quindi i prezzi al mercato.
Parrebbe, dunque, un personaggio vincente, destinato a trionfare; e invece il romanzo prende una piega doppiamente tragica: intanto, i beni che Gesualdo ha sottratto all’aristocrazia parassitaria tornano a questa, circolarmente, nella persona del duca de Leyra; ma soprattutto, l’essere si prende la rivincita sull’avere: l’immensa fortuna accumulata da Gesualdo gli procura solo ingratitudini, invidie, ruggini, rivalità, estorsioni, vendette.
La roba, insomma, non dà la felicità. I tanti «bocconi amari» ingoiati nel corso degli anni a causa della roba finiscono per ucciderlo, tramutandosi in quel cancro allo stomaco che rappresenta simbolicamente la roba stessa, corpo estraneo cresciuto dentro la sua vita fino a distruggerla.
Un articolo di
Docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea - Facoltà di Lettere e Filosofia