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La "Pacem in terris" ha insegnato che la guerra è sempre irrazionale

31 marzo 2023

La "Pacem in terris" ha insegnato che la guerra è sempre irrazionale

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Il testo che segue è una sintesi dell’intervento del professor Agostino Giovagnoli alla giornata di studio “Chiesa e cattolici tra guerra e pace” organizzata in Università Cattolica, a Milano, dal Centro di ricerca World History e dalle facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere, Lettere e filosofia, e dal Centro di ricerca sulle Relazioni interculturali.


Pacem in terris. Sessant’anni fa usciva l’enciclica di Giovanni XXIII destando sorpresa e entusiasmo in tutto il mondo. Tutto di quell’enciclica sembrò nuovo e la si enfatizzò come il primo documento pontificio dedicato esclusivamente alla pace e come il primo che si rivolgeva a tutti gli uomini di buona volontà anche se non era così. Novità, tuttavia, ce n’erano davvero molte e una in particolare era importantissima: l’enciclica escludeva che, nell’era atomica, la guerra potesse portare giustizia. Ormai da tempo la Chiesa insegnava che la guerra era un male, ammettendola però come legittima difesa e per ripristinare un diritto violato. Ma Giovanni XXIII evidenziò che il rapporto radicalmente squilibrato che si era creato tra mezzi (arma atomica) e fine (ripristinare la giustizia) rendeva ormai impossibile parlare di “guerra giusta”.


La guerra era diventata uno strumento impraticabile, controproducente, irrazionale e, dunque, da eliminare. Era quello che centinaia di milioni, forse miliardi di uomini e donne volevano sentir dire da una così alta autorità morale. Non solo: era anche quello che i massimi leader politici del tempo, Kennedy e Chruscev, volevano che qualcuno dicesse per affrontare più facilmente le resistenze interne a un accordo con il “nemico”. Sembrò che il mondo parlasse con una voce sola, quella del Papa. Nella Pacem in terris, la novità dei contenuti scaturì da una novità di approccio. Quel pronunciamento pontificio non si fondò solo sul Vangelo e sulla Tradizione ma anche sulla lettura dei segni dei tempi: si fondò cioè anche sull’analisi della realtà storica. Ciò segnava un distacco da una dottrina della Chiesa basata sulla lettura teologica e provvidenzialistica della storia che, pur giudicando la guerra un male, la considerava un castigo di Dio e perciò ineliminabile. Con l’enciclica giovannea, la Chiesa non ha cambiato nulla del messaggio evangelico di cui è custode e annunciatrice, ma l’enciclica ha mostrato che anche sui temi cruciali della guerra e della pace il Vangelo si incarna in modi sempre nuovi e risuona in forme inedite nei diversi contesti storici.

Oggi la guerra appare a molti non solo legittima, ma anche utile e, a suo modo, razionale. È piuttosto la pace che sembra doversi giustificare. Quando scoppiò nel 1991 il primo conflitto dopo la caduta del Muro di Berlino, la Guerra del Golfo, si disse che “sarebbe stata l’ultima” o che era “necessaria per evitare più rovinose guerre future”. Ci fu allora chi denunciò giustamente l’ipocrisia di tali affermazioni, ma oggi, per certi aspetti, ci sarebbe motivo di rimpiangerle: riconoscevano implicitamente la pace come un principio da far prevalere, anche se servivano a coprire scelte di segno opposto. Dietro quell’ipocrisia, infatti, c’erano molte cose importanti: il ricordo delle due guerre mondiali, la continuità con un inedito sistema di organizzazioni internazionali per salvaguardare la pace, la volontà di evitare ad ogni costo la Terza guerra mondiale… Che la guerra andasse bandita era ancora una convinzione diffusa nel 2003, quando milioni di persone manifestarono in tutto il mondo contro quella in Iraq. Poi qualcosa si è rotto e la guerra è diventata “normale”. Se oggi nessuno dice che la guerra in Ucraina sarà l’ultima o che è necessaria per evitarne altre (e nessuno lo ha detto neanche per quelle in Siria, in Yemen, in Georgia…) è perché dopo il 1989 è progressivamente venuta meno l’architettura morale, politica, istituzionale costruita dopo la Seconda guerra mondiale.
 

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Un articolo di

Agostino Giovagnoli

Agostino Giovagnoli

Docente Storia contemporanea - Università Cattolica

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