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Alessandro D'Avenia, la lettura è un'iniziazione alla vita spirituale

28 ottobre 2022

Alessandro D'Avenia, la lettura è un'iniziazione alla vita spirituale

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Lupus in fabula! Il lupo arriva proprio perché è stato raccontato nella favola. Ovvero le cose che leggiamo o ascoltiamo nelle favole accadono davvero. Non era solo una credenza degli antichi, ma la realtà. Oltre lo spazio e il tempo.

È il pensiero dello scrittore, sceneggiatore e insegnante Alessandro D’Avenia che giovedì 27 ottobre ha aperto in Università Cattolica a Milano la Scuola di lettura promossa dalla casa editrice dell’Ateneo Vita e Pensiero davanti a cinquecento ragazzi che l’hanno atteso con trepidazione in Aula Magna.

«Questa Scuola è nata per riaffezionare alla lettura e per creare quelle connessioni con i libri che diventano proprie solo quando vengono condivise con altri» - ha detto il direttore di Vita e Pensiero Aurelio Mottola, introducendo l’evento con la poesia Tutti i libri del mondo di Hermann Hesse che si apre con questi versi: “Tutti i libri del mondo non ti danno la felicità, però in segreto ti rinviano a te stesso” … e si chiude così: “La saggezza che hai cercato a lungo in biblioteca ora brilla in ogni foglio, perché adesso è tua”.
Questo è anche il più bell’augurio ai lettori partecipanti al percorso che si snoda in sei incontri fino a maggio 2023 insieme a diversi scrittori, e che chiede di leggere il libro proposto e di condividere domande e pensieri con l’autore durante l’evento in presenza.
 

 

D’Avenia ha cominciato l’incontro distribuendo alla platea tre melagrane, le protagoniste della fiaba L’amore delle tre melagrane di Italo Calvino, testo da lui scelto come quello più caro e con cui confrontarsi con gli studenti.

«Calvino racconta a un popolo che aveva bisogno di meraviglia, quella meraviglia che noi perdiamo tutti i giorni, immersi in racconti non veri. Noi stiamo su un abisso e proviamo una vertigine. Di fronte a questo cosa facciamo? Lo raccontiamo». «Questo è ciò che ha contraddistinto l’evoluzione dell’homo sapiens - ha spiegato D’Avenia -, parlare e raccontare». 

Il mondo si configura con le storie che raccontiamo e questo nutrimento è l’unico modo possibile per avere un cuore intelligente, capace di relazionarsi con gli altri e con il proprio destino. 

Passando attraverso l’interpretazione dell’etimologia di alcune parole, come fa-bula (dal latino fari, il dire autorevole degli dei, più stabulum, stalla, fanno fabula, il luogo in cui il destino accade), dal flusso della conversazione ha preso forma la storia che D’Avenia a sua volta ha raccontato agli studenti, il suo messaggio d’amore perché «non si danno aumenti di conoscenza della realtà senza aumenti di amore nei confronti della realtà. E la meraviglia è segno di questo. Ogni giorno bisogna meravigliarsi di qualcosa. Anche se a volte è spaesante e doloroso». 

Come accade nella fiaba di Calvino dove la ragazza bella è costretta a vivere e morire dentro una melagrana e in una colomba trafitta, e che si salva solo quando le viene chiesto “da dove vieni?”. Solo allora, infatti, la ragazza può raccontare la sua storia e cominciare, così, a vivere. Il suo contraltare, il personaggio della “brutta saracina” che uccide la ragazza più volte, muore nel momento in cui ha esaurito la sua funzione e non ha più ragion d’essere.  

La storia ha un messaggio per tutti, anche per il figlio del re che è uscito dalla casa materna per sperimentare la vita e conoscere l’amore. Ha pensato di conoscerlo guardando per la prima volta la ragazza uscita dalla melagrana ma in quel momento lui la vedeva solo come un oggetto da possedere, non da amare. «Perché conoscere è ri-conoscere, come diceva Platone che parlava di conoscenza quando ricordiamo e riconosciamo. E come si evince dal ritorno di Ulisse a Itaca quando la moglie non l’ha riconosciuto subito ma solo dopo che lui ha cominciato a raccontare la sua storia. Ulisse ha sentito che poteva raccontarsi a una persona che non l’avrebbe usato le sue parole per qualche scopo e che non se ne sarebbe andata» - ha aggiunto lo scrittore.

Insomma, «la lettura è un’iniziazione alla vita spirituale», è qualcosa che ci cambia per sempre e che si dipana giorno per giorno tra due poli, il bianco del latte simbolo del ricevere la vita, e il rosso come il sangue nell’atto del dare la vita. E allora “Cammina, cammina…”, come dice l’incipit della fiaba di Calvino, cammina e sperimenta come imparare ad abbandonare il possesso e a conoscere l’amore. Per questo ogni fiaba termina con il lieto fine, perché la storia della fiaba può accadere a ciascuno di noi se sappiamo ascoltare e cogliere la chiamata alla vita, passando attraverso il dolore.

La prima dimostrazione di questo potere della lettura sono state le domande poste dagli studenti al termine dell’intervento di D’Avenia, relative a questioni esistenziali suscitate proprio dalla fiaba di Calvino. 

Lasciandosi interpellare dal testo di volta in volta scopriamo di essere noi la ragazza, la brutta saracina, il figlio del re, noi che ci muoviamo nella vita scoprendo le diverse parti di noi stessi che sono ancora da trasformare per arrivare a riconoscere il volto dell’amore. 
 

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

Emanuela Gazzotti

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