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Anche il governo tecnico è politico, ma la politica meriterebbe più tecnicità

19 gennaio 2024

Anche il governo tecnico è politico, ma la politica meriterebbe più tecnicità

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«Cercare di fare l’interesse generale, non del proprio partito e non della propria persona; gestire l’incarico corrente senza pensare a eventuali ruoli auspicati in futuro e, soprattutto in determinate situazioni, non temere di diventare impopolare». Sono pochi ma fondamentali i criteri per valutare un buon governo, un buon ministro e anche un buon capo del governo. A teorizzarli è Mario Monti, senatore a vita e dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013 presidente forse dell’unico Consiglio di ministri e veramente “tecnico” perché composto da personalità che prima di allora non avevano ricoperto questo tipo di incarichi. «È stata una fortuna o no che i partiti non abbiano aderito al nostro governo? Su questo mi interrogo ancora», ha commentato Monti. In questi casi «è chiaro che il governo ha una libertà maggiore. Ovviamente il presidente deve mediare tra i ministri ma è un processo di presa di decisione più libero».

Proprio Mario Monti è stato ospite martedì 16 gennaio della presentazione del libro di Enrico Giovannini dal titolo “I ministri tecnici non esistono”: un buon espediente per chiarire una volta per tutte se c’è una distinzione tra ministri “tecnici” e quelli “politici”. «Un chiarimento che può arrivare solo da chi, come Enrico Giovannini, ha vissuto la duplice esperienza, sia nel governo Draghi e prima ancora in quello Letta», ha osservato Marco Lossani, direttore del Laboratorio di analisi monetaria (Lam), che insieme all’Associazione per lo sviluppo degli studi di banca e borsa (Assbb) ha organizzato l’incontro nell’ambito di un ciclo che si occupa di presentare libri dedicati a temi rilevanti per il Paese. «Un ministro quando diventa tale è inevitabilmente un politico», ha fatto eco l’economista dell’Università Cattolica Andrea Boitani che, moderando l’incontro, è immediatamente entrato nel vivo del dibattito animato dalle voci di due discussant d’eccezione: oltre al senatore Monti, la professoressa dell’Università Milano-Bicocca Cristina Messa, già ministra dell’Università e della ricerca in quello stesso governo Draghi in cui Giovannini ha ricoperto l’incarico di ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili.

 

 

 

Ma “come” s’interpreta il ruolo del ministro?  «Come quello dell’ascolto, delle scelte, della costruzione del consenso dei tentativi di influire sulla cultura del Paese, dell’impegno a far funzionare meglio l’amministrazione e, soprattutto, di disegnare un futuro. Allora in questi punti forse sta la differenza fra la scelta di un ministro tecnico, che, son d’accordissimo in realtà è un politico, e un ministro politico, che appartiene a un partito», ha precisato Messa. Una delle differenze sta proprio «nelle scelte che fa il ministro tecnico» e «che hanno sempre alla base un procedimento scientifico forte». E «questo differenzia tantissimo poiché si comincia da un processo inverso, che parte dalla conoscenza e include in sé trasparenza e terzietà». L’altra differenza si trova nei rapporti con il Parlamento e con i rappresentanti della società civile. «La negoziazione fa parte della politica, ritenendola fondamentale ed essenziale», ha affermato Messa. Però, «credo che il punto fondamentale sia quello di saper ascoltare chiunque, anche la politica, non cedere a ciò che viene portato senza un pensiero logico per non perdere di vista l’obiettivo finale, cioè individuare le soluzioni giuste in modo da creare vantaggi per lo sviluppo del mondo in cui viviamo».

Anche il senatore Monti è partito dalla sua esperienza di «ministro tecnico in un governo tecnico presieduto dallo stesso tecnico che era ministro tecnico». E lo ha fatto con una classificazione dei governi tecnici che negli ultimi anni si sono avvicendati in Italia. Il primo, è il governo Ciampi, del 1993 presieduto da un tecnico, il governatore della Banca d’Italia. «Non era un governo di unità nazionale e includeva dei ministri parlamentari». Nel 1995 è stata la volta del governo Dini, di nuovo presieduto da un tecnico non parlamentare: «Non era di unità nazionale ma era il governo del centrodestra che aveva vinto le elezioni». Gli anni tra il 2011 e il 2013 sono quelli del governo Monti, presieduto da un tecnico, poi nominato senatore a vita. «Non conteneva nessun ministro parlamentare ed era un governo di unità nazionale poiché nemmeno un partito ne faceva parte proprio come il governo Draghi», ha ricordato Monti. «Il nostro era un governo tecnico, ne aveva tutti i requisiti, anche se ho cercato di non renderlo tale, insistendo con i rappresentanti dei partiti della maggioranza». Ma, ha aggiunto, «non era loro ambizione quella di associare visualmente le loro personalità le loro parti politiche a un governo destinato a diventare notevolmente impopolare. Naturalmente questo rendeva più liberi nella fase della formulazione della proposta con qualche rischio in più nella fase dell’approvazione parlamentare».

Insomma, che sia un tecnico o un politico, il mestiere del ministro è complesso. «Proprio per questo ho scritto questo libro», ha detto Giovannini: «Far capire che la politica richiede una serie di caratteristiche e una certa dose di complessità che passa per l’ascolto». Ma perché in Italia c’è tanto bisogno di governi tecnici? «Perché la politica italiana ha via via ridotto il tasso di tecnicità dei partiti e la selezione della sua classe dirigente non è più come quella di una volta, ma casuale». Eppure, «non possiamo fare a meno della politica, che vuol dire mettere insieme i bisogni diversi e realizzare così la nostra Costituzione».

 

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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