Ma “come” s’interpreta il ruolo del ministro? «Come quello dell’ascolto, delle scelte, della costruzione del consenso dei tentativi di influire sulla cultura del Paese, dell’impegno a far funzionare meglio l’amministrazione e, soprattutto, di disegnare un futuro. Allora in questi punti forse sta la differenza fra la scelta di un ministro tecnico, che, son d’accordissimo in realtà è un politico, e un ministro politico, che appartiene a un partito», ha precisato Messa. Una delle differenze sta proprio «nelle scelte che fa il ministro tecnico» e «che hanno sempre alla base un procedimento scientifico forte». E «questo differenzia tantissimo poiché si comincia da un processo inverso, che parte dalla conoscenza e include in sé trasparenza e terzietà». L’altra differenza si trova nei rapporti con il Parlamento e con i rappresentanti della società civile. «La negoziazione fa parte della politica, ritenendola fondamentale ed essenziale», ha affermato Messa. Però, «credo che il punto fondamentale sia quello di saper ascoltare chiunque, anche la politica, non cedere a ciò che viene portato senza un pensiero logico per non perdere di vista l’obiettivo finale, cioè individuare le soluzioni giuste in modo da creare vantaggi per lo sviluppo del mondo in cui viviamo».
Anche il senatore Monti è partito dalla sua esperienza di «ministro tecnico in un governo tecnico presieduto dallo stesso tecnico che era ministro tecnico». E lo ha fatto con una classificazione dei governi tecnici che negli ultimi anni si sono avvicendati in Italia. Il primo, è il governo Ciampi, del 1993 presieduto da un tecnico, il governatore della Banca d’Italia. «Non era un governo di unità nazionale e includeva dei ministri parlamentari». Nel 1995 è stata la volta del governo Dini, di nuovo presieduto da un tecnico non parlamentare: «Non era di unità nazionale ma era il governo del centrodestra che aveva vinto le elezioni». Gli anni tra il 2011 e il 2013 sono quelli del governo Monti, presieduto da un tecnico, poi nominato senatore a vita. «Non conteneva nessun ministro parlamentare ed era un governo di unità nazionale poiché nemmeno un partito ne faceva parte proprio come il governo Draghi», ha ricordato Monti. «Il nostro era un governo tecnico, ne aveva tutti i requisiti, anche se ho cercato di non renderlo tale, insistendo con i rappresentanti dei partiti della maggioranza». Ma, ha aggiunto, «non era loro ambizione quella di associare visualmente le loro personalità le loro parti politiche a un governo destinato a diventare notevolmente impopolare. Naturalmente questo rendeva più liberi nella fase della formulazione della proposta con qualche rischio in più nella fase dell’approvazione parlamentare».
Insomma, che sia un tecnico o un politico, il mestiere del ministro è complesso. «Proprio per questo ho scritto questo libro», ha detto Giovannini: «Far capire che la politica richiede una serie di caratteristiche e una certa dose di complessità che passa per l’ascolto». Ma perché in Italia c’è tanto bisogno di governi tecnici? «Perché la politica italiana ha via via ridotto il tasso di tecnicità dei partiti e la selezione della sua classe dirigente non è più come quella di una volta, ma casuale». Eppure, «non possiamo fare a meno della politica, che vuol dire mettere insieme i bisogni diversi e realizzare così la nostra Costituzione».