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Enrico Letta: più di un mercato, l’Europa ha bisogno di consenso

04 luglio 2024

Enrico Letta: più di un mercato, l’Europa ha bisogno di consenso

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«L’Europa è un continente che parla di mercato unico. Ma nelle cose più basilari della vita normale, come l’alta velocità, non solo non lo pratica ma è asimmetrico e addirittura assente in settori chiave come telecomunicazioni, energia, finanza». Enrico Letta, presidente Istituto Jacques Delors, parla con cognizione di causa e dovizia di particolari, considerato il ricco dossier di informazioni acquisite sul campo. Per circa un anno, infatti, su incarico della Commissione europea, ha girato in lungo e in largo i 27 stati membri per raccogliere nuove idee per il funzionamento del single market. Un viaggio intenso («è stato sostanza e non forma», ci tiene a dire) concretizzatosi nella stesura del Rapporto “Much more than a market. Speed, Security, Solidarity” e di recente anche nella pubblicazione del libro “Molto più di un mercato” (Il Mulino, 2024). «Durante questa esperienza è stato fondamentale incontrare gli attori della società europea, oltre che i rappresentanti di università, parlamento, sindacati, governi locali, istituzioni. Uno straordinario esperimento che mi ha consentito di rilanciare i concetti di orizzontalità e di dialogo sociale che ritengo fondamentali per l’integrazione europea e per quella dei mercati dei capitali», spiega Letta, invitato lunedì 24 giugno dall’Università Cattolica del Sacro Cuore a illustrare il cuore del documento e le proposte in esso contenute.

«“Much more than a market” si inserisce in una vasta tradizione di rapporti che hanno studiato l’integrazione europea, come quello Delors sull’unificazione monetaria o quello Monti sull’integrazione dei mercati», mette in evidenza Marco Lossani, direttore del Laboratorio di Analisi Monetaria (LAM), introducendo l’evento. «Il rapporto Letta è però abbastanza particolare: è uno dei primi a essere stilato in un contesto radicalmente nuovo, dove l’Unione Europea perde peso rispetto ai suoi principali rivali, cioè Stati Uniti e Cina, anche in virtù di problemi crescenti dovuti alla frammentazione dell’ordine economico mondiale e all’andamento demografico. L’altra sua novità risiede nel fatto che fa vedere in maniera chiara come il principale ostacolo al processo di costruzione europea si trovi nella presenza di soggetti svantaggiati che non riescono a percepire i benefici dell’integrazione. Alcuni numeri indicati da Letta sono esemplificativi: più di sessanta milioni di cittadini europei vivono in regioni in cui il PIL pro capite è più basso rispetto a quello di vent’anni prima e altri settantacinque milioni si trovano in territori in cui il tenore di vita in questi ultimi trent’anni è rimasto sostanzialmente invariato», nota Lossani.   

Non solo numeri, però. Diritti, libertà, mobilità, sostenibilità, dimensione sociale, solidarietà, integrazione, sicurezza e concorrenza sono termini ricorrenti nel documento. E sono quelli che «dovrebbero guidare l’azione dell’Europa del futuro», precisa Claudio Lucifora, direttore del Centro di ricerca sul lavoro Carlo Dell’Aringa (Crilda), tra i promotori dell’iniziativa. «In un mondo che lo stesso Letta definisce di “nuovo disordine globale”, si tratta di costruire percorsi che possano dare un senso a un’Unione europea che, con alle spalle uno scenario complessivo cambiato, presenta segni di invecchiamento, anche nei trattati e nei regolamenti e, pertanto, bisognosi di modifiche».

E in effetti, fa eco Letta, «oggi siamo in una situazione drammatica, caratterizzata da una dimensione di scarsa competitività italiana e dell’Europa intera». Ma perché il processo del single market non è andato a buon fine? «È mancata una motivazione forte e soprattutto è mancato un leader politico europeo che ci abbia messo la faccia per sostenerlo, determinando tra le sue principali conseguenze la fuga verso gli Stati Uniti di capitali e di startupper».

Uno scenario di stallo da cui, dice Letta, «l’unico modo per uscire è legare l’integrazione dei mercati al finanziamento della transizione verde, giusta e digitale». E visto che questa sarà per i prossimi dieci anni il principale tema di discussione, sarà di vitale importanza conoscerne i costi. Lo spiega bene il rapporto Pisani-Ferry, quattrocento pagine accuratamente documentate, da cui emerge che la transizione costa ed è difficile da conseguire. Se si vuole evitare che la transizione verde resti un ragionamento puramente astratto, diventa cruciale superare gli ostacoli politici, sociali e soprattutto finanziari. «Di qui la mia proposta di costruire un piano basato su un compromesso tra soldi privati e pubblici», rimarca Letta, che assegna un ruolo prioritario alla presenza di investimenti privati nel finanziamento della transizione. Anche perché, ribadisce, «con la fine del Next Generation Eu, i Paesi del Nord, tra cui Germania, Paesi bassi e scandinavi, non saranno più disposti a dare il via libera a un nuovo capitolo di fondi pubblici».

In altre parole, difendere l’esistente non è più sufficiente. Servono iniziative concrete contro la perdita di competitività che stiamo vedendo perché «con l’inerzia l’Europa è destinata al declino». Inoltre, per evitare effetti collaterali, è fondamentale che il mercato unico non sia più interpretato solo come “freedom to move”. Purtroppo, la mobilità in Europa ha un biglietto di solo andata, due sole direzioni – Est verso Ovest, Sud verso Nord – ed è senza circolarità. Basti pensare che la Croazia in soli dieci anni ha perso il 10 per cento della sua popolazione, per non parlare di Romania, Bulgaria, Slovacchia. Per questo accanto al “freedom to move” vanno promossi il “freedom to stay” e il “freedom to return”, con un focus nuovo sui servizi, unica condizione per rendere attrattiva una regione. «Veniamo da cinque anni in cui l’Europa ha reagito a crisi. Ma, come la storia europea ci dice, le reazioni non consentono di costruire politiche di lungo respiro». Non da ultimo c’è una «pista» su cui lavorare per cercare di costruire consenso. Ed è quella della «sicurezza» da interpretare in termini generali e larghi. Una possibile «chiave di volta» per superare le «frammentazioni» e le «contraddizioni» attuali.

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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