La giornata più nera nella storia recente della democrazia americana. L’assalto dei sostenitori di Donald Trump al Senato degli Stati Uniti è riuscito a interrompere la procedura di ratifica dell’elezione di Joe Biden da parte delle Camere riunite in seduta congiunta. Quella che doveva essere una mera presa d’atto formale di quanto verificatosi il 3 novembre è stata trasformata nell’ultimo ridotto del trumpismo più estremista per volontà dello stesso presidente uscente. Non contento di aver tentato senza fortuna ogni possibile carta per ribaltare la realtà dei fatti – la sua sconfitta – il più ingombrante di tutti i losers della storia americana, aveva prima attaccato per l’ennesima volta il suo vice Mike Pence, che presiedeva la seduta, e infine arringato la folla dei suoi sostenitori, assiepati tra la Casa Bianca e il Congresso. Il risultato è stato quello che ieri tutto il mondo ha visto: immagini che rimandano a Minsk e a Lukashenko e non alla capitale degli Stati Uniti.
Nel suo eversivo comizio, Trump ha evocato come al solito la bufala delle elezioni “rubate” e soprattutto ha fatto ricorso al più classico tra gli arnesi dell’armamentario populista: la contrapposizione tra i l’establishment e “il popolo”, invitando quest’ultimo a riprendersi il partito. Ma c’è di più. Il popolo cui Trump ha alluso è chiaramente il “suo”: cioè una fazione nella fazione, che lui rappresenterebbe per una sorta di investitura carismatica, e i cui “diritti” – le cui pretese, in realtà – dovrebbero prevalere nei confronti di quelle del popolo inteso come “insieme dei cittadini”: quel We, the People con cui si apre la Dichiarazione di indipendenza. La retorica di Donald Trump in questi ultimi due mesi è divenuta sempre più incendiaria e apertamente sovversiva, tanto più nella bocca non di un semplice candidato alla presidenza, ma del presidente in carica. Trump, con la disonestà intellettuale e l’ipocrisia che lo contraddistingue, ha successivamente invitato i suoi sostenitori a non utilizzare la violenza contro la polizia, ma non a sgomberare il Congresso.