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Chiusa l’edizione di Cives, parlando di futuro prossimo

26 marzo 2022

Chiusa l’edizione di Cives, parlando di futuro prossimo

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È stato il vescovo della Diocesi di Piacenza-Bobbio, monsignor Adriano Cevolotto, a chiudere la 21esima edizione dello spazio di formazione “Cives parla alla Civitas”, che quest’anno aveva come fil rouge il tema del futuro. Un futuro che lo stesso Cevolotto vede all’insegna della precarietà.

Ma andiamo con ordine. Nella Sala Piana del campus di Piacenza dell'Università Cattolica si sono tirate le fila dei 14 incontri di questa edizione, alcuni dei quali svolti insieme al Laboratorio di mondialità consapevole.

Gli studenti universitari che hanno aderito al corso hanno innanzitutto restituito gli spunti derivati da alcuni degli appuntamenti: dall’economia di Francesco, inteso come Papa, ma anche come Santo patrono d’Italia, passando poi all’ecologia della felicità, dagli schiavi del nostro tempo fino a incontri che hanno posto sotto la lente su Piacenza come incubatrice culturale.

È stata anche l’occasione per una tavola rotonda con i rappresentanti dei gruppi giovani di Confapi, Confesercenti e Confindustria, rispettivamente Gianluca Poggioli, Gianluca Braga e Lorenzo Marchi, i quali hanno spiegato in cosa consista la loro attività, puntando l’attenzione su alcuni valori ormai necessari per chi intende fare impresa. L’importanza della formazione continua, della condivisione dei saperi e di un approccio alla cultura d’impresa che sia sempre più sostenibile sono stati al centro delle loro parole.

Prima della consegna degli attestati di partecipazione a Cives, la chiusura dell’intera edizione è spettata al vescovo Cevolotto, che parlando di futuri possibili si è soffermato sulla precarietà. «Gli ultimi due anni ci hanno insegnato cosa significhi davvero - ha detto - come dice Papa Francesco il nostro non è un tempo di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca. Immagino che dobbiamo attenderci una grossa precarietà: penso alla crisi economia del 2008, poi alla pandemia, emergenze queste che dicono si ripeteranno ciclicamente, ora la guerra. Dobbiamo imparare a convivere con un’incertezza sistemica. Non dobbiamo più progettare allora? Non è così, ma occorre passare dalla logica del progetto a quella del processo, in cui si definisce una prospettiva e, mano a mano che si va avanti, ci si adatta a una realtà in mutamento».

Un futuro, sostiene Cevolotto, da affrontare con una fiducia che non può derivarci dagli altri, ma che per essere cittadini attivi dobbiamo trovare in noi stessi. «Se per fare qualcosa occorre avere mille garanzie allora non si combina nulla, si resta in un’attesa in cui si perdono treni. O viviamo in panchina, aspettando, ma con il rischio di non entrare mai in campo, oppure prendiamo la realtà per le corna».

E gli appuntamenti di Cives sono serviti proprio a questo, a capire il mondo di domani. Uno degli studenti corsisti, Paolo Provini, ha ad esempio spiegato che l’idea alla base del progetto "The Economy of Francesco" «è quella di dare un’anima all’economia, di renderla vita, che umanizza, che si prende cura del creato e non lo depreda, un’economia diversa: che accomuna e non esclude», divenendo così uno strumento, come sostiene la collega Amanda Balduzzi, per affrontare la crisi ecologiche. «Si possono indicare due correnti di pensiero principali - dice la studentessa - quella dei tecno-ottimisti per i quali il problema ecologico è risolvibile adottando tecnologie verdi pur continuando a crescere dal punto di vista economico e quella degli eco-pessimisti per i quali il problema ecologico non si risolve solo con l’adozione di tecniche più green, ma bisogna limitare la crescita della popolazione e del reddito pro-capite». Ci troviamo di fronte a un periodo di importanti scelte.

A proposito dice Gaia Rasparini: « Crediamo che non si possa più fingere di non vedere la realtà che ci circonda». Il diferimento è alla serata di Cives che ha visto come ospite Valentina Furlanetto, autrice del libro “Noi schiavisti”, in cui sono state raccontate le storie di spaccapietre cinesi, braccianti macedoni, badanti ucraine, rider africani, bengalesi nei cantieri navali e allevatori sikh. Ma a Cives i grandi temi sono stati calati anche sul territorio. Grazia D’Isanto ha restituito l’appuntamento in cui si è ripercorsa l’evoluzione urbanistica della città «per guardarsi intorno con occhi più curiosi e attenti, cercando di capire come gli scenari siano mutati nel tempo e con loro la cultura di un’intera popolazione», così come Niccolò Graviani e Giuliana Montanari si sono sono soffermati sul marketing territoriale - «ultimamente Piacenza ha registrato posizioni piuttosto basse in termini di benessere» - e sul ruolo che la cultura può giocare come incubatore sociale sul nostro territorio, in riferimento all’incontro “Può la cultura cambiare Piacenza” con ospiti Lucia Pini, direttrice della Galleria Ricci Oddi di Piacenza, e Fabio Obertelli, curatore della Galleria Baratti di Milano.

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Redazione

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