Il fallimento di una relazione è un fallimento di comunicazione: lo diceva il sociologo della liquidità Zygmunt Bauman, ma tale frase dà subito l’idea dell’intento che si è proposto il seminario organizzato il 14 maggio sul tema “Strategic relations: comunicazione strategica, dialoghi, leadership gentile” a cura del Centro Studi e ricerche di Psicologia della Comunicazione e del Dipartimento di Psicologia, in collaborazione con l’Accademia di Comunicazione Strategica.
Introducendo i lavori, Andrea Gaggioli, direttore Centro Studi e Ricerche di Psicologia della Comunicazione, si è soffermato sul tipo di comunicazione in campo professionale, che deve essere caratterizzata dalla positività: «E’ opportuno prestare attenzione a cosa ciascuno sa fare meglio, evidenziando gli aspetti migliori dell’esperienza umana, e ciò rende la vita degna di essere vissuta».
Su quest’ultimo aspetto si è collegato Luca Brambilla dell’Accademia di Comunicazione Strategica sottolineando le modalità per raggiungere obiettivi sfidanti in contesti complessi con competenze tecniche e relazionali che superano la genialità del singolo. «La costruzione di alleanze relazionali è il focus della comunicazione strategica in ogni organizzazione: il genio non fa goal da solo». La comunicazione strategica nasce nel settore del business ma poi è stata declinata nei vari campi del vivere civile. La sua caratteristica è costruire relazioni. In particolare, da parte del manager non ci si aspetta che “ammazzi di lavoro” i suoi dipendenti ma che collabori con loro, non per perbenismo ma per pervenire ai risultati. Del resto, quando un dipendente o collaboratore è trattato bene, lavora meglio. «La comunicazione strategica non esiste in natura, noi nasciamo efficaci, ma per passare dalla comunicazione efficace a quella strategica occorre un metodo che si riassume nei verbi: osserva-domanda-intervieni».
Queste modalità operative sono state ulteriormente implementate dai suggerimenti di Guido Stratta dell’Accademia della Gentilezza, che ha portato la sua esperienza di lavoro nelle risorse umane di aziende di livello internazionale. «La gentilezza mira ad aprire un varco nel tempo dell’egoismo. La gentilezza trova un imprinting relazionale nei nove mesi in cui siamo nel grembo di nostra madre, fase relazionale essenziale per la nostra esistenza». Ma la gentilezza non va confusa con le buone maniere, la cortesia, il buonismo. «La gentilezza non è passare un dossier al collega, ma spiegarne il contenuto, la gentilezza è spontanea, è contagiosa (nel senso che si può apprendere anche se non si è gentili di natura). Trattare bene le persone crea un’onda lunga di positività. Non deve creare spavento il guardare le qualità degli altri: occorre sopravalutare il prossimo per migliorarlo. Tra ferire il prossimo e farlo fiorire, non c’è paragone. Bisogna rompere il cinismo per cui “il mondo è sempre stato così”».
Il collante tra strategia e gentilezza è dato dal dialogo, e su questo si è pronunciato Carlo Galimberti, docente di Psicologia sociale della comunicazione: «Il dialogo con tutti gli interlocutori è la spinta che deve indirizzare verso l’esercizio della leadership gentile allineando motivazione, benessere, risultati. L’importanza del dialogo è innegabile se si pensa al rapporto tra azienda e dipendenti, tra società quotate e investitori, tra media e cittadini. Si pensi al periodo del Covid, quando è mancato il dialogo tra scienza e società». Anche nei ruoli tecnici c’è una umanità che va liberata, vanno osservati gli occhi che brillano per favorire una partecipazione attiva.
Al termine del seminario si è svolta la premiazione degli studenti che hanno partecipato e vinto un concorso indetto dal Centro in omaggio alla memoria della ricercatrice Fabiana Gatti, prematuramente scomparsa nel 2019, alla quale il professor Galimberti ha dedicato un sentito ricordo presentandola quale modello di persona caratterizzata dallo stile di vita dell’ascolto e dal sapersi immedesimare nei panni dell’altro.
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