NEWS | Il ritratto

De Mita, “totus politicus”

26 maggio 2022

De Mita, “totus politicus”

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Con Ciriaco De Mita non se ne va soltanto uno degli ultimi grandi protagonisti della “Prima Repubblica”, ma forse anche uno degli ultimi interpreti di un modo di vivere e concepire la politica che le trasformazioni degli ultimi trent’anni hanno condannato al tramonto. “Totus politicus” nel senso più nobile del termine, fin dai tempi in cui i frequentava da studente le aule dell’Università Cattolica, De Mita vide infatti la partecipazione alla discussione pubblica e l’impegno nelle istituzioni come dimensioni qualificanti, se non addirittura irrinunciabili.

Quando Gianni Agnelli lo definì un “intellettuale della Magna Grecia”, l’intento dell’Avvocato era certo di sottolineare gli aspetti di una politica rappresentata più o meno esplicitamente come “vecchia”, “lenta”, fatta di discussione, di mediazioni, di concertazioni. Involontariamente, quella definizione coglieva però qualcosa della visione della politica di cui De Mita fu coerente alfiere nel corso della sua lunga esperienza. Innanzitutto, perché concepì l’impegno pubblico come un’attività inscindibile da una riflessione culturale, che era soprattutto un tentativo di interpretare la società italiana, le sue trasformazioni, il suo rapporto ambivalente con le istituzioni. Ma anche perché, rischiando talvolta di apparire “statalista”, assegnava alle istituzioni un ruolo non ancillare nei confronti del mercato e della società. Proprio da quella concezione della politica – e del rapporto tra Stato e società italiana – scaturì l’istanza del rinnovamento della Democrazia Cristiana, che segnò il periodo in cui De Mita ricoprì l’incarico di segretario del partito, negli anni Ottanta. Ma da quella stessa visione prese forma anche l’ambizione di una «grande riforma» delle istituzioni democratiche.

Un’ambizione che, sempre nel corso degli anni Ottanta, lo spinse a coinvolgere nell’attività politica Roberto Ruffilli: anche lui approdato dalla provincia al collegio Augustinianum e all’Ateneo di Largo Gemelli, e destinato a essere barbaramente ucciso da ciò che restava del terrorismo rosso. Entrambi i progetti di rinnovamento avviati da De Mita – per quanto oggi ci possano apparire retrospettivamente fin troppo timidi – si scontrarono contro le resistenze di un sistema che di lì a poco sarebbe caduto sotto i colpi delle inchieste giudiziarie (e sull’onda della fine della Guerra fredda).

Da quel momento avrebbe conquistato la scena una politica abissalmente distante da quella della “Prima Repubblica” e di cui il leader irpino era stato coerente interprete. Una politica sempre più sbilanciata sull’urgenza di una comunicazione frenetica ma sempre più priva di radicamento territoriale. E una politica non solo in larga parte incapace di affrontare i nodi strutturali del Paese, ma forse anche di interpretare quelle trasformazioni della società che Ciriaco De Mita – certo compiendo talvolta degli errori – non cessò mai di interrogare.

Un articolo di

Damiano Palano

Damiano Palano

Direttore Dip. Scienze politiche - Università Cattolica

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