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Denatalità, gli squilibri del Paese rischiano di condannarci a un declino irreversibile

20 novembre 2022

Denatalità, gli squilibri del Paese rischiano di condannarci a un declino irreversibile

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Nel corso della legislatura appena iniziata si gioca l’ultima possibilità per l’Italia di invertire la tendenza negativa delle natalità. I motivi di questa ultima finestra sono due: in positivo le condizioni di opportunità uniche di questo momento storico, in negativo la prossimità al punto di non ritorno degli squilibri accumulati.

Il primo motivo è legato all’opportunità, grazie al fondo Next Generation Eu, di poterci affrancare dall’alibi delle risorse che mancano. I progetti finanziati e inclusi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza vanno realizzati entro il 2026, ma devono mettere le basi di processi che migliorano strutturalmente il percorso di sviluppo del paese.

Il secondo motivo è rappresentato dalla trappola demografica in cui siamo entrati e che rischia di condannarci in modo irreversibile a una spirale negativa. Più il tempo passa e più si restringe il margine per invertire la tendenza delle nascite perché va ad erodersi irreversibilmente la popolazione in età riproduttiva (meno nascite ieri, porta a meno potenziali genitori oggi, quindi a meno nascite domani e ancor meno genitori dopodomani).

Nello scenario meno sfavorevole delle ultime proiezioni Istat la popolazione tra i 20 e i 64 anni, all’orizzonte del 2050, va incontro ad una perdita di circa 6 milioni, che diventa di oltre 10 milioni in quello più sfavorevole. Questo significa che c’è un margine di circa 4 milioni di potenziale forza lavoro che dipende dalla dinamica delle nascite (che nel caso peggiore scenderebbero a 300 mila e in quello migliore salirebbero a 450 mila nei prossimi cinque anni per poi arrivare a superare le 500 mila) in combinazione con il contributo dell’immigrazione. Sul resto del divario agiscono le ricadute indirette del rafforzamento dell’occupazione giovanile e femminile, che sono strettamente legate alle politiche familiari e ai meccanismi del rinnovo generazionale.

Riguardo ai giovani uno dei freni principali è costituito dai limiti della transizione scuola-lavoro e della transizione, in generale, alla vita adulta. I fattori che stanno alla base del record negativo di NEET (under 35 che non sono in formazione e nemmeno inseriti nel mondo lavoro) che caratterizza il nostro paese (quasi il 30% nella fascia 25-34 anni), comprimono anche le possibilità di autonomia dalla famiglia di origine e di formazione di una propria (come mostrano i dati del “Rapporto giovani” dell’istituto Toniolo). Non è un caso che i giovani italiani siano quelli in Europa che presentano l’età media più avanzata di arrivo del primo figlio.

Un secondo cruciale freno alla natalità è rappresentato dalle difficoltà di conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari. L’Italia presenta una delle peggiori combinazioni tra bassa fecondità e bassa occupazione femminile. Attualmente il nostro gap occupazionale di genere è di quasi 20 punti percentuali contro gli 11 punti della media europea (e i 5 punti della Svezia). Gli strumenti, come i servizi per l’infanzia e i congedi di paternità, che agiscono positivamente su entrambi tali fronti, consentono di contenere gli squilibri demografici di una popolazione che invecchia, ma anche di ridurre le diseguaglianze sociali e territoriali, dato che la bassa occupazione femminile penalizza soprattutto le regioni del Sud e l’accesso ad un secondo reddito delle famiglie con figli.

Ci sono tre dati che ci consentiranno di capire se questo Governo, grazie all’implementazione delle azioni finanziate con Next Generation Eu, sarà stato in grado di essere all’altezza della sfida di questo cruciale momento storico del nostro paese. Primo: il rialzo delle nascite verso quota 500 mila. Secondo: la riduzione di un terzo del tasso di Neet. Terzo: il dimezzamento del gap occupazionale di genere. Se nella seconda metà di questo decennio tali obiettivi non verranno raggiunti, l’ultima finestra di opportunità si chiuderà con squilibri destinati a rimanere irrecuperabili.

Un articolo di

Alessandro Rosina

Alessandro Rosina

Docente di Demografia - Università Cattolica

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