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Donne per la pace, impegno e dialogo contro le guerre

14 novembre 2024

Donne per la pace, impegno e dialogo contro le guerre

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«Il mondo ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace». Lo ha detto papa Francesco il primo gennaio 2024. Un gruppo di giornaliste di Avvenire ha provato a farlo per davvero. Mentre la guerra tornava in Europa con il conflitto tra Ucraina e Russia, e riesplodeva in Medio Oriente con l’attacco di Hamas ad Israele il 7 ottobre, senza smettere di infiammare altre parti del mondo, le redattrici del quotidiano sono andate a scovare le donne impegnate per la pace. È nata, così, un’inchiesta giornalistica che ha accompagnato iniziative concrete come una petizione al Parlamento europeo e una raccolta fondi tra i lettori per sostenere progetti di solidarietà.

Le azioni di questa vera e propria campagna d’opinione sono confluite in un libro, “Donne per la pace. Voci che hanno cambiato la storia”, dalla casa editrice della Università Cattolica, Vita e Pensiero, nella collana “Pagine Prime”, realizzata in collaborazione con Avvenire. Il volume è stato presentato lunedì 11 novembre nella sede milanese dell’Ateneo, nell’ambito della manifestazione Bookcity, con interventi delle curatrici Viviana Daloiso e Antonella Mariani (assente giustificata Lucia Capuzzi) e delle docenti della Università Cattolica che hanno curato la prefazione, Raffaella Iafrate, professoressa ordinaria di Psicologia sociale e delegata rettorale alle Pari Opportunità, e Claudia Mazzucato, professoressa associata di Diritto Penale e Giustizia Riparativa.

Il libro raccoglie le interviste a 23 donne, diversissime per esperienza, formazione, cultura tutte però accomunate dall’aver dato un contributo ai processi di pacificazione o di riconciliazione nei loro paesi.

Dalle premio Nobel - la tunisina Ouided Bouchamaoui, l’iraniana Shirin Ebadi, la svedese Beatrice Fihn, l’irachena Nadia Murad, la filippina Maria Ressa – alle attiviste come la cantautrice israeliana Yael Deckelbaum o la sociologa Nataša Kandić che denunciò il genocidio di Srebrenica, alle madri di figli o mogli di uomini vittime della violenza, come l’argentina Nora Morales Cortiñas, cofondatrice delle Madres de Plaza de Mayo, o Gemma Calabresi e molte altre.

Sfogliando le pagine del volume, attraverso le testimonianze luminose e a tratti anche molto commoventi di queste donne - protagoniste, sovente, loro malgrado -, si leggono in negativo, i grandi drammi del nostro tempo: il genocidio in Ruanda, i massacri delle guerre balcaniche degli anni ’90, gli orrori della dittatura militare in Argentina, gli attentati nel Nord dell’Irlanda e il terrorismo di casa nostra. Una lunga scia di violenze spesso provocate da uomini, di cui queste donne, in prima persona, hanno subito le conseguenze, perché stuprate, perseguitate, incarcerate, o di cui hanno dovuto sopportarne il dolore e la sofferenza, come madri, figlie, sorelle di chi è stato ucciso. Ascoltando le loro voci, emerge un dato su tutti: quando le donne sono state ascoltate, perché hanno potuto prendere parte ai negoziati, sovente la risoluzione dei conflitti è stata più duratura, quando invece sono state ignorate, la pace è stata più fragile.

Un articolo di

Francesco Chiavarini

Francesco Chiavarini

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Proprio questo argomento, che l’inchiesta giornalistica prima e ora la pubblicazione sostengono con la forza persuasiva delle storie di vita, è all’origine della richiesta all’Europarlamento. La petizione, depositata a Strasburgo ed elaborata grazie ad un team di docenti coordinati da Raffaella Iafrate e Claudia Mazzucato, sollecita l’assemblea a spronare le istituzioni europee e i singoli Stati membri affinché, dando piena attuazione all’Agenda “Donne pace e sicurezza” stabilita dall’Onu, promuovano la partecipazione delle donne «nei processi di pace e nella costruzione della sicurezza a valle di guerre e altri conflitti armati interni e internazionali, nei casi di terrorismo ed estremismo violento, nonché nei contesti di transizione verso la democrazia e la pace positiva».

Insomma, il buon senso, la ragione, le esperienze di prossimità convergono sul punto: la pace riesce, se la si fa con le donne.

«La metà della popolazione mondiale è costituita da donne, se non le si coinvolge, quando e dove si decide la pace, il lavoro sarà sempre fatto a metà». - ha sottolineato durante il dibattito Raffaella Iafrate. «Nella nostra richiesta alle istituzioni europee affinché siano considerate, non c’è alcuna rivendicazione di parte – ha aggiunto -. Vorremmo solo che tutti i punti di vista abbiamo pari opportunità, proprio perché siamo convinti che sia una ricchezza dare piena valorizzazione a tutte le differenze, quella portata dalle donne, ma anche dagli altri gruppi dotati storicamente di minore potere: per esempio i giovani o le minoranze discriminate».  

Nel libro spiega molto bene quanto prezioso sia il contributo femminile ai tavoli di pace una che se ne intende, Monica McWilliams, unica donna ad essere ammessa nei negoziati che portarono all’accordo del 1998 tra il governo del Regno Unito e quello irlandese. La leader politica nordirlandese dice tra l’altro: «Di solito gli uomini partecipano ai colloqui di pace parlando di armi, di rilascio dei prigionieri, di riforma delle forze di sicurezza, o di ridistribuzioni territoriali. Insomma, parlano di potere. Sono questioni importanti ma non parlano mai di questioni che vengono poste dalle donne, come i sistemi educativi, le politiche per il futuro dei propri figli, di come vivere insieme creando spazi sicuri di convivenza, delle vittime e di come risarcirle».

Non dovrebbe risultare singolare che anche di loro ci sia bisogno dove ci si siede per trattare; eppure, come ha fatto osservare Viviana Daloiso, «le donne continuano non esserci».

Per esempio, nei primi incontri diplomatici tra Ucraina e Russia c’erano solo due negoziatrici a rappresentare Kiev e una Mosca. In Egitto, a trattare per la tregua tra Hamas e Israele non c’erano né le madri che avevano perso un figlio in guerra, né quelle che ancora attendevano il ritorno di un ostaggio.

L’ambizione della proposta avanzata dal quotidiano con il contributo dei docenti della Cattolica era, tuttavia, anche un'altra. Non solo permettere alle donne di far sentire la loro voce nei posti che contano, ma anche di «democraticizzare» i processi di pace, promuovendo percorsi di «diplomazia riparativa», secondo l’espressione coniata dello studioso australiano John Braithwaite che riceverà il 21 novembre dal presidente Sergio Mattarella il Premio Balzan e il 25 novembre terrà una lectio nella sede milanese della Università Cattolica dal titolo “Gentle ideas for hard problems: war and peace, crime and justice”. «Si crede che la pace, la fanno i potenti, in luoghi non accessibili alle persone comuni, ma in realtà si aiuta la pace, se impariamo a prosciugare dall’odio la vita quotidiana quando è avvelenata dai conflitti. A quel livello tutti noi cittadini abbiamo una parte di responsabilità e possiamo, dobbiamo, esercitarla», ha concluso Claudia Mazzucato.   

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