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Donne più protagoniste nella produzione cinematografica

25 ottobre 2021

Donne più protagoniste nella produzione cinematografica

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Negli ultimi quattro anni la percentuale di progetti guidati da donne, con preferenza per il grande schermo, è cresciuta del 4% segnando in generale un cambiamento positivo verso il bilanciamento di genere del resto delle professioni coinvolte, come il montaggio e la scenografia nei film diretti da donne. È una delle evidenze emerse dalla ricerca “Bilanci di genere e industrie dello schermo in Italia. Dati e politiche”, condotta dai ricercatori dell’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo dell’Ateneo, che sarà presentata in Università Cattolica il 25 ottobre (largo Gemelli, sala Negri da Oleggio ore 16.30) e fruibile anche in streaming sui social di Almed. 

Il progetto si colloca nel solco del lavoro realizzato da PTSClas e Università Cattolica per il Ministero della Cultura sugli impatti del finanziamento pubblico al cinema e all’audiovisivo. La parità di genere rappresenta un indicatore decisivo dal punto di vista culturale e sociale, ma anche economico e industriale della salute delle imprese: è da tempo dimostrato che le imprese più inclusive sono anche le più solide e quelle che meglio affrontano le crisi e le sfide del cambiamento.  
 


I dati dello studio sono stati acquisiti attraverso "Centric", un software sviluppato in Università Cattolica e finalizzato all’elaborazione automatizzata del bilancio di genere delle iniziative in ambito cinematografico e audiovisivo. Il programma interroga i database ad accesso libero presenti in rete, acquisendo le informazioni sul cast e sulle maestranze coinvolte nei progetti e ricostruendo la composizione dei team creativi, con riferimento sia alle persone fisiche sia alle società e ai soggetti istituzionali. Queste informazioni vengono poi ricondotte a indici sintetici, come ad esempio il Gender Balance Score, che misura il rapporto fra professioniste e professionisti impiegati in uno ruolo o progetto.

La ricerca ha analizzato produzioni e coproduzioni italiane, che fra il 2017 e il 2020 hanno ottenuto il nulla osta per la distribuzione nazionale: 1085 progetti, per ciascuno dei quali Centric ha ricercato i dati relativi a 10 ruoli professionali, censendo 13.094 fra professioniste e professionisti (Figura 1).  

«Il grafico restituisce l’immagine di un comparto dove il gender gap è ancora consistente - ha dichiarato Maria Grazia Fanchi, direttrice di Almed -. I professionisti uomini, infatti, prevalgono in tutti i ruoli, tranne nel trucco e nei costumi, superando il 90% nella direzione delle musiche, della fotografia e degli effetti speciali. Le professioni “meno sbilanciate” sono quelle connesse a produzione, montaggio e sceneggiatura, dove la quota femminile oscilla fra il 21% della sceneggiatura e il 27% della produzione. Sono viceversa a dominanza femminile trucco e costumi, con una presenza fra il 70% e il 76%». 

È da sottolineare, inoltre, che la presenza femminile nei diversi ruoli cambia in relazione al contesto produttivo. Ci sono, cioè, formati (e generi) che favoriscono una più ampia inclusione e un migliore bilanciamento. Per esempio, nei team creativi coinvolti nella realizzazione di corto- e di mediometraggi la presenza femminile è complessivamente più alta: fino a 7 punti percentuali in più nel caso della regia e del montaggio. Tra i segnali positivi si riscontra anche il dato che non solo la quota di opere a guida femminile distribuibili è cresciuta, ma anche che il 68% di esse ha raggiunto effettivamente le sale, ottenendo esiti in linea con la media nazionale. 

I dati emersi dalla ricerca mostrano un altro aspetto interessante. Nei progetti a direzione femminile il numero di professioniste aumenta in quasi tutti i ruoli, portando alcune professioni molto vicine all’obiettivo del fifty fifty, come nel caso del montaggio e delle scenografie. In alcuni ruoli l’immissione di professioniste genera o aggrava uno squilibrio di segno opposto: è il caso della sceneggiatura o anche del trucco e dei costumi, dove la presenza femminile diventa dominante o aumenta ulteriormente il divario di genere. 

«Questo fenomeno comporta, però, un rischio da monitorare - ha spiegato la direttrice di Almed -. Se infatti la crescita del numero di professioniste impiegate nelle industrie dello schermo non può che essere accolta con favore, la loro concentrazione in alcuni ruoli rischia di innescare quel processo di devalorizzazione delle professioni a cui già molte volte abbiamo assistito nella storia.
Si pensi alla trasformazione del ruolo del giornalista a seguito della femminilizzazione del comparto, o a quella dei programmisti radiofonici e televisivi e che comportano per tali professioni prima la perdita del prestigio e poi il ridimensionamento del trattamento economico e dei contratti, con conseguenze esiziali per le lavoratrici, ma per il comparto tutto».  

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

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