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Etica e algoritmi, l'intervento di Padre Benanti

20 maggio 2024

Etica e algoritmi, l'intervento di Padre Benanti

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«C’è una via sapiente da percorre in compagnia degli algoritmi senza che ad essa debba essere sacrificata la nostra libertà»? Parte con questo interrogativo l’incontro. “Dov'è il sapiente? Intelligenze artificiali tra algoritmi e libertà” promosso dall'Università Cattolica e dall'Ufficio comunicazioni della Diocesi di Cremona, con il mensile diocesano Riflessi Magazine, per celebrare la Giornata mondiale per le comunicazioni sociali che ha ospitato nei chiostri di Santa Monica l’intervento illuminate di don Paolo Benanti, francescano del Terzo Ordine Regolare, esperto di algoritmi e intelligenza artificiale, nominato tra i 39 membri del New Artificial Intelligence Advisory Board delle Nazioni Unite.

Ad aprire le danze Don Maurizio Compiani, docente di teologia e assistente pastorale della Cattolica a Cremona, che ha organizzato il ciclo di incontri Intelligenza artificiale, chi sei? Per proporre una riflessione profonda sugli interrogativi che l’AI pone alle nostre esistenze «L’intelligenza artificiale ci fa vedere il mondo e l’uomo in modo diverso: va a ridefinire quelle concezioni di base che per millenni sono state il fondamento della cultura occidentale» ha ricordato don Compiani.

«Diventano labili e sfumati i confini tra naturale e artificiale, tra reale e virtuale ». Tramonta un modo di concepire il mondo basato su ciò che esiste, a favore di un mondo informazionale, dove i dati e le loro connessioni ci offrono sempre più velocemente risposte e soluzioni, ma spesso senza il supporto di una spiegazione. «Aderire a una visione del mondo che non sempre è chiara e che non è mai interamente spiegata, suscita inquietudine da un lato, ma dall’altro risulta essere anche la scelta più facile da compiere». 

Ecco, quindi, che la domanda si impone: "Dov'è è il Sapiente?" Scegliendo un approccio etico, Paolo Benanti, uno dei massimi esperti di IA in Italia e nel mondo, ha proposto alla folta e variegata platea una serie di esempi per dimostrare che «il software ha il potere di definire la realtà» perché la fruibilità degli oggetti è sempre più spesso decisa da chi li programma. Snocciolando un breve excurus storico dell’evoluzione dell’AI, partendo dagli anni Cinquanta «ove si collocano le radici storiche dell'interazione tra uomo e macchina tramite lo scambio di informazioni», il padre francescano ha affermato che «oggi l'intelligenza artificiale è quel modo di programmare per cui l'uomo fornisce i fini e la macchina sceglie i mezzi per compierli». La tecnologia degli anni ’50, con i padri della cibernetica Claude Shannon e Norbert Wiener, si è evoluta con la nascita del transistor e dei computer centralizzati. Il movimento hippy del 1970, arrivato anche nella Silicon Valley, ha contribuito a «sgretolare il potere computazionale del computer e distribuirlo a tutti» facendo nascere così il personal computer. 

Solo nel 2010 arriva sul mercato lo smartphone che «è potenza computazionale che sta sempre con noi». Questo pone un problema di libertà «che già Wiener aveva intuito e che il filosofo tedesco Heidegger nel 1967 aveva teorizzato individuando due problematiche: Se posso controllare la realtà, che cosa mi interessa capirla? E poi: se si pongono uomo e macchina sullo stesso livello, chi controlla chi?.  Si intrecciano così le questioni dell'identità dell'uomo, delle sue emozioni e del rischio che la macchina possa influenzarne comportamenti e scelte». 

Benanti ha quindi evidenzato come il rapporto tra uomo e macchine intelligenti si sia evoluto anche grazie a eventi storici come la Primavera araba o la pandemia che ha «ingoiato alcuni processi fisici» trasformando le relazioni interpersonali, che per diversi mesi sono state più digitali che reali. È qui che si intrecciano le questioni dell’identità dell’uomo, delle sue emozioni e del rischio che la macchina possa influenzarne comportamenti e scelte. Richiamando Jhon Rawls, Benanti nota come servirebbe una legge «conoscibile, universale e generale». Ma l’algoritmo non può essere nessuna di queste cose: «Non è conoscibile, non è universale perché profila e non è generale perché obbedisce solo al padrone del server». Dunque «la pseudo legge algoritmica – ha continuato Benanti –, per non andare contro quello spazio pubblico che abbiamo conquistato con il sacrificio, ha bisogno di essere addomesticata, ha bisogno di quella forma di etica che noi chiamiamo algoretica».

Tante, dunque, le domande aperte a cui l’uomo è chiamato rispondere. Come quelle degli studenti universitari cremonesi, che hanno chiesto come l'IA influenzerà le discipline oggetto dei loro studi e le professioni future. «Saranno più a rischio i lavori relativi ai compiti cognitivi più alti - è convinto Benanti -, quelli meglio pagati e oggi svolti dalla classe media. Il tema è la gestione politica del fenomeno: si pone una questione di disuguaglianza per la quale la dottrina sociale della chiesa rappresenta un faro».

A chiudere la serata il saluto di Annamaria Fellegara, preside della Facoltà di Economia e di Giurisprudenza del Campus cremonese, che ha definito l'intervento di Padre Paolo Benanti leggero, rapido ed esatto, «come le lezioni americane di Calvino» sottolineando «la complessità del fenomeno dell'IA che ci confronta con i nostri limiti e con il desiderio di non perdere la fiducia nelle nuove generazioni e per l'essere umano che continua ad appassionarci».

Un articolo di

Sabrina Cliti

Sabrina Cliti

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