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Etiopia: silenzio, massacri e rischi per la sicurezza

28 giugno 2022

Etiopia: silenzio, massacri e rischi per la sicurezza

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Il 4 Novembre 2020, nel totale silenzio della stampa internazionale e mentre gli occhi del mondo erano puntati sulle turbolente elezioni americane, l’ex militare, leader politico etiope, e Nobel per la pace 2019 Abiy Ahmed Ali (nato il 15 agosto 1976) aveva lanciato un’offensiva in Tigray, regione settentrionale ai confini con l’Eritrea, in risposta alle elezioni non autorizzate dal governo della capitale Addis Abeba che avevano decretato la vittoria del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, il Tpfl. Lo scopo era quello di annichilire il regime politico e militare tigrino, da tempo antagonista del governo centrale. Le forze nazionali, con l’appoggio delle milizie di Amhara e dell’esercito eritreo avevano bombardato e poi invaso la regione, scontrandosi con i militari del Tpfl. La controffensiva tigrina ha poi esteso la portata del conflitto, con l’attacco della vicina regione Amhara e contro Asmara, capitale eritrea. A due anni dal suo scoppio, il conflitto non ha ancora avuto epilogo, registrando innumerevoli violazioni del diritto internazionale e gravissimi crimini commessi da tutte le parti coinvolte.

Migliaia i civili uccisi e centinaia di migliaia gli sfollati interni: crimini di guerra e contro l’umanità, massacri, saccheggi ad obiettivi civili e d’assistenza umanitaria, stupri di massa e diffusione della violenza di genere, sono stati documentati, con estrema difficoltà, da parte delle diverse agenzie ONU e delle ONG. In particolare, già durante i primi sei mesi dello scoppio del conflitto, Amnesty International ha riportato l’uccisione di massa di centinaia di civili, da parte delle milizie del Tplf, tra il 9 e 10 novembre 2020 a Mai-Kadra, nel Tigray. Le successive rappresaglie hanno comportato saccheggi, esecuzioni extragiudiziali e detenzioni di massa nei confronti della popolazione civile della città. Ancora, tra il 28 e il 29 novembre 2020 un centinaio di persone sono state massacrate ad Axum dai militari eritrei che il 12 aprile 2021, hanno poi sparato sui civili a Adua, ferendo 19 persone e uccidendone 3. Esecuzioni extragiudiziarie sono avvenute anche a Mahibere Dego il 15 gennaio 2021 da parte delle forze etiopi di difesa nazionale.

Nell’agosto del 2021 poi, decine di corpi di uomini, donne e bambini tigrini con evidenti segni di tortura sono stati ripescati dal fiume Tekeze, richiamando l’attenzione dei media internazionali. L’accesso agli organi di stampa internazionali è stato consentito soltanto alla fine di febbraio del 2021, confermando le brutalità già registrate dalle indagini delle agenzie per i diritti umani. Sempre nel corso del 2021, le notizie di attacchi ai civili sono aumentate esponenzialmente in diverse regioni etiopi, quali Amhara, Oromia e Beninshagui. Rappresaglie contro i civili si sono registrate nel distretto di Chiglia, a Nord Shewa e nella zona speciale di Oromo nella regione di Amhara. Notizie di violenze armate arrivano dalla regione di Beninshagui-Gumuz, nell’area di Metekel; mentre dal novembre 2020 la popolazione Amhara delle zone occidentali di Oromia è vittima di sfollamenti forzati e uccisioni da parte di milizie non ancora identificate.

 

I sospetti di pulizia etnica nell’area del Tigray occidentale, già affiorati lo scorso anno, sono stati confermati nell’aprile 2022 da Amnesty International e da Human Rights Watch. Dalla fine del 2020, le forze di sicurezza regionali e Amhara, le milizie affiliate e le nuove autorità della zona occidentale del Tigray hanno rastrellato e arrestato illegalmente migliaia di tigrini, rendendosi autori anche di stupri di gruppo, sequestri e riduzione in schiavitù per scopi sessuali, in un’operazione coordinata di pulizia etnica. Le testimonianze riportano di un numero non precisato di morti nei centri di detenzione: uccisi o morti a causa delle torture e dalla privazione di cure mediche, cibo ed acqua. Inoltre, è stato vietato l’uso della lingua tigrina da parte delle autorità locali e impedito l’accesso ai terreni coltivati, in cui le truppe federali eritree e le milizie Amhara hanno razziato prodotti agricoli, bestiame e macchinari, incidendo drammaticamente sui mezzi di sussistenza della popolazione tigrina. Alla fine del marzo 2021 erano decine di migliaia i tigrini espulsi forzatamente o fuggiti dall’area. Nel novembre 2021, l’operazione ha ripreso nuova forza e portato all’espulsione di altre decine di migliaia di tigrini, per lo più giovani madri e bambini anziani, ammalati. Inoltre, migliaia di uomini sono state arrestate, mentre sono stati uccisi tutti coloro che hanno provato a fuggire: solo il 17 gennaio 2021, le milizie Amhara hanno rastrellato decine di uomini e ne hanno uccisi sessanta sulle rive del fiume Tekeze, dando avvio ad un esodo di massa dalla città di Adi Goshu.

Sia le forze federali etiopi che le autorità della regione dell’Amhara hanno negato ogni fatto, continuando ad osteggiare il monitoraggio internazionale e indipendente nell’area allo scopo di nascondere la messa in atto dell’operazione di pulizia etnica.

Limitazioni sono state imposte anche al movimento ed è stato impedito l’accesso agli aiuti umanitari, incentivando il rischio di una catastrofe alimentare per l’intero paese, in particolare nella zona occidentale del Tigray dove, secondo le stime ONU, sono oltre cinque milioni le persone che corrono il rischio di subire le conseguenze della carestia. Per questo, nel giugno del 2021 il governo centrale ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale rimasto in vigore fino al settembre dello stesso anno, per garantire la produzione agricola e scongiurare il rischio di carestia, peggiorato anche dalla difficoltà di accesso degli aiuti umanitari. Diverse agenzie internazionali, tra cui l’agenzia USA Usaid che ha denunciato una tragica situazione alimentare, dichiarando che dal 20 agosto 2021 i rifornimenti per gli aiuti umanitari e di cibo sono stati bloccati e non hanno più accesso alla regione tigrina.

Di conseguenza, il 24 marzo 2022 il governo centrale ha proclamato una tregua umanitaria che impegna le autorità federali e regionali a garantire gli aiuti umanitari internazionali e nazionali, disarmare le milizie e le forze armate presenti nel Tigray occidentale e rimuovere tutti coloro che sono sospettati di aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità. La tregua ha consentito l’incremento degli aiuti umanitari, ma le problematiche sono molteplici. Secondo quanto riportato dall’OCHA nel giugno del 2022, tra l’inizio di aprile e l’8 giugno sono state consegnate più di 20.000 tonnellate di cibo a più di 1,2 milioni di persone. Nonostante l’annuncio della tregua e l’incremento dei fondi umanitari, le condizioni della popolazione in Tigray rimangono estremamente critiche, mentre la situazione è relativamente migliore nelle regioni di Amhara e Afar. In Tigray, la difficoltà di accesso ad alcune aree e le continue resistenze del governo etiope non consentono di garantire la sicurezza alimentare ai sei milioni di persone che vivono, sopravvivono, nella regione.

Nonostante le prove attendibili delle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale, la risposta da parte dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite è ancora oggi, inadeguata. Le risposte labili e tardive della comunità internazionale non sono in grado di scongiurare la degenerazione del conflitto e, soprattutto, delle sue conseguenze, rendendo quindi concreto il rischio di riverbero in tutto il Corno d’Africa, anche con pesanti riflessi sulla sicurezza mediterranea.

Un articolo di

Beatrice Nicolini - Filomena Grippa

Docente di Storia e Istituzioni dell’Africa, Facoltà di Scienze Politiche e Sociali - Laureata magistrale in Politiche per la cooperazione internazionale allo sviluppo

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