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Eugenia Scabini, una storia di vita e di ricerca

27 gennaio 2023

Eugenia Scabini, una storia di vita e di ricerca

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«Spingersi oltre sé è la cifra della vita, pienamente umana, ‘generativa’»: così scrive Eugenia Scabini, professore emerito di Psicologia Sociale, già preside della Facoltà di Psicologia e direttore del Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica, nel suo libro Una vita di storia e ricerca (Vita e Pensiero) che è stato presentato il 25 gennaio alla Fondazione Ambrosianeum.

Un volume che il presidente Marco Garzonio ha definito «una consegna straordinaria alle generazioni future», che fa appello a un’idea di comunità sintonica con le parole di Lewin: «il gruppo è qualcosa di più, o meglio, qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri, [una] totalità dinamica». La vita di Eugenia Scabini lo testimonia nell’impegno fin da adolescente: al Liceo Berchet incontra don Luigi Giussani, che lì insegnava religione, si impegna nella Gioventù Studentesca, poi viene chiamata a presiedere la FUCI, una reggenza breve ma intensa prima della cesura del ’68, anno importante per la sua vita perché è quello delle nozze con un collega dell’Università Cattolica, Giuliano, medico specializzando in Psicologia. Poi la nascita dei due figli, l’insegnamento a Torino, gli anni difficili del terrorismo delle Brigate Rosse, fino al 1979, quando Lazzati la chiama a dirigere il neonato Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia.

Per Francesco Belletti, sociologo, direttore CISF (Centro Internazionale Studi Famiglia), il libro è «una storia vera, densa di contenuti che vanno oltre la mera biografia». Lo dimostrano alcune parole ed espressioni chiave che gli sono rimaste impresse leggendo: «inquietudine (curiosa); insieme, perché è chiaro che non si arriva da nessuna parte da soli e infatti ci sono tanti nomi e amicizie in questo libro; desiderio incontenibile di unità, con la capacità della Scabini di aprirsi ad altri orizzonti fuori dalla propria specializzazione, proprio perché uno studio proficuo sulla famiglia richiede interdisciplinarietà; relazione, perché la concretezza della curiosità è lo sguardo verso gli altri, l’ascolto, la capacità di creare legami». 

Parole che la poetessa Vivian Lamarque, autrice della recente raccolta L’amore da vecchia (inorridisce alla parola “anziana”), ha fatto echeggiare attraverso la lettura partecipata di alcuni suoi versi biografici. Perché vite pur diverse si intrecciano a volte per contrasto: se la Scabini racconta di una infanzia felice, in un ambiente familiare “sereno, sobrio e libero”, Lamarque racconta «la sua partenza tutta al contrario»: figlia illegittima di una famiglia valdese è stata data presto in adozione. «Eppure oggi siamo qui insieme ed è una prova che ogni fiume può avere diverse anse e percorsi e poi incrociarsi con altri partendo anche da strade lontanissime. Anche tu hai avuto dei momenti difficili».

E lì un’altra coincidenza che stringe il cuore: Lamarque è nata a Tesero, un comune del trentino che ha una piccola frazione, Stava. Lì, il 19 luglio 1985, succede una tragedia che segna la vita di molte persone, compresa Eugenia Scabini: quel giorno «un’onda di fango travolge e spazza via in Val di Stava mia figlia Anna e i miei genitori insieme a molte altre vite, per la precisione 268 persone. Un dolore indicibile familiare ma anche un evento tragico sociale, comunitario. Mi sono improvvisamente sentita con un passato generazionale ferito e con un futuro dimezzato: come donna mi sono sentita presenza solitaria, senza madre e senza figlia».

È uno dei punti più commoventi del volume, come racconta l’autrice: «La generatività era stata colpita alla radice». Come ci si rialza? «Intanto il buon Dio che ti dona energie che non pensavi di possedere, gli amici e poi… la mia Università, luogo generativo dove ho potuto rivedermi nelle nuove generazioni».

La grande lezione è che i legami curano. I legami aiutano. E in fondo questo libro è nato da un’immagine che onora questo concetto, tratta dal libro La generatività nei legami familiari e sociali, a lei dedicato, composta dai suoi allievi e colleghi e intitolata Eu-genia: «un albero che mi vede alla radice di un grande gruppo» racconta, «un albero con tutte le generazioni succedute al Centro Studi sulla famiglia. Accanto il mio amico Cigoli, Giovanna Rossi, e poi molti altri. Io mi sono occupata di famiglia mettendo al centro la generatività e i passaggi tra le generazioni, i legami generativi. Non c’è un mio, ma un nostro. Il fatto che abbiano notato che nel mio stesso nome di battesimo ci fosse questa radice, “ben generata”, mi ha molto colpito. Durante la pausa imposta dal lockdown ho provato allora rileggere la mia vita attraverso il principio della generatività». 

Nasce così Una storia di vita e ricerca, dedicato alla capacità trasformativa dei legami, non scindibile dal percorso intellettuale. Il faro di ogni ricerca? La speranza, ha concluso: «bisogna sperare sempre che qualcosa rinasca, qualcosa da quello che hai ereditato. La speranza è quella virtù bambina che, come dice Charles Péguy “vede e ama quello che non è ancora e che sarà nel futuro del tempo dell’eternità”».La speranza ha un aspetto trascendente, uno sguardo verso l’alto, come i due angeli che in copertina si librano sull’albero in fiore, con le fronde in movimento, un dettaglio di un’opera dedicata ad Anna.  
 

Un articolo di

Velania La Mendola

Velania La Mendola

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