NEWS | Newsroom

Giornalismo e clima: una crisi nella crisi

10 maggio 2023

Giornalismo e clima: una crisi nella crisi

Condividi su:

Se è vero – come si dice - che un’immagine colpisce menti e coscienze più di mille parole, quella suo malgrado divenuta celeberrima che ritrae l’isola gardesana di San Biagio, penisola a causa della siccità, si candida a divenire il simbolo della crisi climatica in corso.

Icona bresciana e tema globale. Eppure, se tutte le maggiori testate mondiali hanno parlato di quel final warning - l’ultimo avvertimento - lanciato dall’ONU, tra i primi dieci risultati di google non compare nessuna testata italiana.

Anche effettuando la ricerca in italiano l’unico risultato riconducibile alle emittenti di casa nostra (ma nemmeno troppo in alto) è quello di RaiNews24.

Spiegare come ciò sia possibile e dialogare sulle cause di questo mancato racconto, è stato l’intento della lezione aperta Raccontare la crisi climatica, appuntamento finale del ciclo Newsroom, gli incontri del Dams dedicati al mondo dell’informazione curati da Antonio Borrelli.

Crisi, si badi bene, è la parola chiave. Poiché, a differenza dell’emergenza, ha carattere duraturo nel tempo.

L'intervento di Pierluigi Ferrari, giornalista RAI e docente in Cattolica, tra i primi a documentare la situazione allarmante del Benaco, riassume il problema narritivo principale: «quello della crisi climatica è un racconto giornalistico che per molto tempo è stato condotto in modo astratto».


Già, perché finché le immagini del riscaldamento globale hanno coinciso con quelle di orsi polari a cui mancava il ghiaccio sotto le zampe o le foreste amazzoniche sempre meno estese, il sentire occidentale ha faticato ha catalogare la cosa come urgente e reale.

«Ora la resistenza da parte dell’opinione collettiva si sta sgretolando: i dati metereologici parlano chiaro e le calamità naturali - dalla siccità dei laghi alle alluvioni dell’Emilia Romagna, solo per citare esempio recenti - sono sotto gli occhi di tutti».

A parlare è Andrea Giuliacci, meteorologo e conduttore Mediaset che al mosaico delle cause delineato dal prof. Ferrari aggiunge due importanti tasselli.

«Da un lato il mondo scientifico pecca di autoreferenzialità, usando termini da simposio difficilmente comprensibili al grande pubblico; dall’altro alcuni registri narrativi che generano ansia e panico hanno indotto una fetta di popolazione a smettere di leggere le notizie».

Parlando di giornalismo in tempi di crisi - pandemica, bellica o ambientale che sia - c’è un altro problema da considerare.

«La necessità di documentare le crisi arriva in un momento in cui è già in atto un’altra crisi: quella del settore editoriale e del giornalismo stesso, col progressivo disgregamento del sistema mediatico tradizionale» ha infatti notato Oliviero Bergamini di RaiNews24.

A farne le spese è quasi sempre la qualità della notizia, il cui valore scientifico spesso non è proporzionale alla qualità con cui sono sapientemente confezionati titoli e contenuti “acchiappa-click”, mentre le difficoltà della stampa che tenta di spiegare la complessità di politiche sociali, aziendali ed economiche sul tema, si scontra con la diffusione di fake news e dati distorti ad hoc da parte di gruppi affiliati alle grandi compagnie petrolifere e non solo.

Nel frattempo, mentre è ancora acceso il dibattito sul peso dell’insieme delle abitudini quotidiane e individuali su scala globale, sono Ferrari e Bergamini a dare voce a una domanda che in molti sorge spontanea.

«L’agenda politica e mediatica del Paese è pronta ad affrontare tutto ciò?»

Un articolo di

Bianca Martinelli

Bianca Martinelli

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti