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Bruno Pizzul, il più bravo di tutti
Dopo la scomparsa del grande telecronista, il nostro docente Giorgio Simonelli ha ritratto l’amico e il maestro con cui ha sempre condiviso la passione per il calcio
| Giorgio Simonelli
15 aprile 2025
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Anche quest’anno Perugia si è trasformata e per cinque giorni ha cambiato vesti, diventando il fulcro del giornalismo mondiale. Il Festival Internazionale del Giornalismo ha animato la città e, dal 9 al 13 aprile, ne ha mutato i connotati: cambiano gli argomenti di discussione e le persone che abitano le vie del capoluogo umbro, che si tramuta in una sorta di melting pot, una commistione tra più individui di diversa nazionalità che si confrontano su tematiche di attualità e di grande importanza sociale. Un crogiolo che dura appena qualche istante, perché nello spazio di poco tempo tutto torna alla “normalità”. Seicento speakers (tra giornalisti, attivisti, accademici e pionieri dell'innovazione mediatica) e oltre duecento eventi organizzati in varie strutture sparse per il centro storico di Perugia hanno caratterizzato questa edizione del Festival.
Innumerevoli i temi affrontati nei vari panel, che hanno scandito le giornate con un ritmo incalzante e hanno toccato un amplissimo ventaglio di tematiche. Tra gli svariati argomenti affrontati, alcuni sono stati preponderanti e hanno quasi monopolizzato il dibattito: la narrazione dei conflitti che ormai stanno modificando gli equilibri politici e sociali mondiali; la crisi del diritto internazionale: l’intelligenza artificiale; il collasso dell'ecosistema informativo; il giornalismo sotto attacco e il clima. E, tra gli altri, di particolare rilevanza è stato il tema della libertà di stampa, oggi come non mai percepito come imprescindibile e, al tempo stesso, sotto attacco. Non solo: nei panel materie diverse si sono spesso intrecciate, offrendo punti di vista e spunti di riflessione inediti e inaspettati. Un quadro, quello tracciato dagli organizzatori dell’evento e da chi vi ha partecipato, che pone il giornalismo come forma di resistenza vitale, proprio perché ascoltare le voci che in ogni parte del mondo raccontano come si sopravvive a questi attacchi alla democrazia, è quantomeno necessario.
Per farlo, è importante lavorare su due piani paralleli e sinergici: il dibattito e l’apprendimento di strumenti tecnici concreti. Due aspetti che sono stati entrambi contemplati nella proposta del festival. Se da un lato ci si è spesso dedicati a riflessioni teoriche di principio e di idee, non sono mancati incontri più pragmatici e settoriali ma al tempo stesso davvero stimolanti per i professionisti della materia. Il che ha reso possibile partecipare a discussioni su come si possa raccontare la guerra per trovarsi solo mezz’ora dopo ad apprendere quali sono gli strumenti che l’intelligenza artificiale offre per contrastare la misinformation, passando poi ad affrontare la tematica della differenza di genere, per finire a imparare i tool più efficaci per svolgere le investigazioni su Telegram. Il festival è infatti un condensato di stimoli, che consentono di crescere dal punto di vista professionale, umano e pratico e di potenziare tutte le proprie capacità allo stesso tempo.
Anche le locations hanno dato valore aggiunto a quello che, in fondo, più che una rassegna di incontri è un laboratorio di confronto: Palazzo Cesaroni, il Teatro del Pavone e il suggestivo Auditorium San Francesco al Prato sono state solo alcune delle splendide cornici all’interno delle quali hanno preso posto gli spettatori. Turisti e gente del posto che si mischiano ai giornalisti, italiani e stranieri, liberi di spostarsi da un panel all’altro. E proprio la gratuità del Festival è uno degli elementi distintivi e che lo caratterizzano: ogni incontro è completamente gratis e chiunque vi può partecipare. Sinonimo di inclusività, di un evento che non lascia indietro nessuno e che punta ad avvicinare chiunque sia interessato al dialogo e all’informazione.
Un articolo di
Scuola di Giornalismo
Tra i più coinvolti ci siamo proprio noi, giornalisti praticanti del Master di Giornalismo dell’Università Cattolica: «A Perugia si è travolti da un'ondata di giornalismo in ogni sua forma - confida Pietro Piga, studente del Master -. È una continua scoperta di metodi, strumenti, argomenti legati al mestiere. Un panel dopo l'altro e un salto da un tema a un altro, ci si rende conto che il giornalismo è in evoluzione e che c'è sempre un lato ignoto e che è fondamentale conoscere». E non è il solo a pensarla in questo modo: «Il Festival è molto più di un evento: è un vero e proprio crocevia di idee, esperienze e visioni sul giornalismo con le varie sfaccettature che contraddistinguono la sua attualità - continua Carlo Coi, anche lui iscritto al Master -. Un’occasione preziosa per confrontarsi, scoprire approcci diversi al mestiere e lasciarsi ispirare da nuove prospettive. Ma il valore più grande è sicuramente incontrare chi, domani, potrebbe diventare un collega, con un percorso formativo diverso, ma la stessa passione per l’informazione». Un entusiasmo condiviso, che accomuna sia chi del giornalismo vorrebbe farne la propria professione, chi professionista lo è già e chi, più semplicemente, apprezza il sapore della buona informazione.
Durante questi giorni, il capoluogo umbro, solitamente così intimo e nascosto, diventa punto nevralgico dove convergono gli occhi di tutti gli appassionati del settore, che spesso aspettano con trepidazione questa occasione per realizzare qualche sogno nel cassetto. «Trovarsi a Perugia durante i giorni del festival, per un giornalista, significa trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Poter conoscere, intervistare e confrontarsi con i grandi nomi di questo mondo, magari incontrando il contatto adatto all’articolo che hai sempre voluto scrivere – commenta un’altra studentessa della scuola di giornalismo, Ginevra Gori –. Esci dalla tua piccola redazione per entrare in un ambiente internazionale, dove interagendo con chi condivide le tue stesse ambizioni e sogni capisci che il giornalista non è una professione in crisi. Anzi, è più viva e necessaria che mai». La vivacità è evidente: a Perugia gli eventi si succedono repentinamente e, come richiede la professione giornalistica, bisogna esser capaci non soltanto a coglierli e raccontarli, ma anche a lasciarsi mettere in discussione da ciò a cui si assiste: «Il festival del giornalismo si conferma un’ottima palestra per coprire un grande evento, ma è anche una grande occasione per imparare qualcosa di più sul nostro mestiere, per capire quanto sia in salute e per riflettere tutti insieme su rischi, importanza e tutela della professione» osserva Luciano Simbolo, anche lui allievo del Master.
Il Festival diventa poi opportunità preziosa per incontrare professionisti che, spesso, sono dei veri e propri punti di riferimento, modelli a cui si aspira per esperienza, professionalità, valore e coraggio. Proprio questi incontri, così pregni di significato e aspettative, spesso si guadagnano il podio dei momenti più significativi: «Il panel che mi ha colpito di più è stato quello dedicato agli inviati di guerra. Mi ha colpito fin dal titolo, "Guerra agli inviati": tra censure e attacchi deliberati, sempre più spesso i giornalisti che raccontano le guerre vedono il loro lavoro e le loro stesse vite messi a repentaglio – racconta Andrea Segalini, studente della scuola di giornalismo –. Di questo e altro hanno discusso tre dei più importanti inviati di guerra italiani, Stefania Battistini e Lucia Goracci della Rai e Nello Scavo di Avvenire. Per me, che anche guardando i suoi reportage dall'Ucraina mi sono deciso a intraprendere la strada del giornalismo, poter intervistare Stefania Battistini al termine dell'incontro è stato un onore».
Allo stesso tempo, si ha l’occasione unica di poter assistere “da vicino” a riflessioni di personaggi fino a quel momento percepiti come “lontani” e in un certo senso irraggiungibili. Tra questi, Roberto Saviano, che nella prima serata del sabato ha intrattenuto l’Auditorium San Francesco con un monologo dal titolo evocativo: Resistere. Tra il pubblico, c’era anche la studentessa del Master Ilenia Cavaliere: «Il richiamo di Roberto Saviano alla resistenza non è stato solo una riflessione teorica, ma un invito a impegnarci quotidianamente per fare fronte a un sistema che tende a premiare la superficialità e l’immediatezza. Ci siamo sentiti coinvolti, come se quelle parole stessero parlando direttamente a noi, ai giornalisti che, come lui, cercano di navigare un mondo che è cambiato radicalmente».
Nel momento esatto in cui un’esperienza così densa si conclude, si torna a casa con un bagaglio strabordante di stimoli, ricordi, incontri, riflessioni difficili da gestire nell’immediatezza. Ma nel momento in cui ci si riapproccia alla quotidianità, si iniziano a indossare ordinatamente, all’occorrenza, tutti gli insegnamenti intessuti in questi giorni, ci si rende conto di quanto esperienze del genere possano effettivamente avere un’incidenza positiva sul modo in cui si esercita e si pensa la professione. I tasselli lentamente si riordinano e si inizia ad avere un quadro più ordinato di cosa significhi essere un giornalista e di come funzionino le cose nel mondo. Il che non significa pretendere di avere una visione completa ed esaustiva. Perché anche questo è essere dei bravi giornalisti: avere la consapevolezza che la realtà è sempre più complessa delle riduzioni semplicistiche a cui spesso si ricorre per stupida comodità. Il Festival internazionale del giornalismo insegna anche questo.