Le cose buone e vere. Lettere di un maestro e di un giovane poeta (1953-1982) porta alla luce il prezioso scambio epistolare fra i due grandi, Carlo Betocchi e Giovanni Raboni, a cura di Benedetta Ziglioli, rivelando quanto il primo sia stato il vero maestro del secondo.
Il volume sarà presentato mercoledì 4 dicembre alle ore 18 nell'aula S. Paolo del campus di Milano, con l’intervento di Giuseppe Langella, già docente di Letteratura italiana in Università Cattolica, e Paolo Di Stefano del Corriere della Sera, dopo i saluti di Pierantonio Frare, direttore del Dipartimento di Italianistica, e dell'editore di Interlinea Roberto Cicala, accanto alla curatrice e a Maria Teresa Girardi, che ha seguito il lungo lavoro di ricerca firmando con lei il saggio introduttivo.
L’evento chiude l’anno di celebrazioni nel ventennale della scomparsa del poeta, traduttore e critico promosse da un comitato presieduto da Patrizia Valduga.
L’incontro tra Giovanni Raboni e Carlo Betocchi avvenne nell’aprile del 1953 al Teatro delle arti di Roma, dove il giovane milanese si era recato per ritirare il primo premio vinto al concorso per poesie inedite indetto dall’associazione “Incontri della Gioventù”. La giuria, presieduta da Giuseppe Ungaretti e composta da Attilio Bertolucci, Adriano Grande, Enrico Falqui e dallo stesso Betocchi, lo aveva premiato per la raccolta intitolata Gesta Romanorum. Il giovane Raboni ricorda così quella circostanza: «Andai a Roma per ritirare il premio… Avevo vent’anni, ero timido e spaesato, avevo voglia solo di tornarmene a casa. Al ricevimento che precedette la premiazione cercavo di nascondermi dietro ai camerieri e, se qualcuno mi guardava, facevo finta di essere lì per caso. Ma mi sentii di colpo a mio agio quando venne verso di me un omino con gli occhi allegri e pungenti, uno strano incrocio fra un folletto di fiaba e un artigiano da racconto verista toscano. Mi tese la mano con un sorriso acutamente buono: “Tu devi essere Raboni”, mi disse».
Il valore del carteggio è illuminato dalle parole della curatrice Benedetta Ziglioli nell'introduzione: «Emerge già nelle prime lettere, confermata nelle più recenti rievocazioni raboniane, la profondità del sentimento che ha legato i due poeti e che ne anima la fitta corrispondenza. L’apertura, la fine, lucida sensibilità, la generosità e la severa pazienza di Betocchi da un lato, l’umiltà, l’acuta intelligenza, la disponibilità ad ascoltare e a lasciarsi guidare di Raboni dall’altro favoriscono l’instaurarsi di un rapporto sincero e autentico, realmente costruttivo nella reciprocità di un confronto franco e mai formale, testimoniato in ogni lettera nel corso dei ventinove anni documentati».
Le cose buone e vere. Lettere di un maestro e di un giovane poeta (1953-1982)
Nella primavera del 1953 Giovanni Raboni risulta vincitore di un concorso di poesia della cui giuria fa parte Carlo Betocchi. La circostanza della premiazione, a Roma, segna l’inizio di un rapporto stretto e duraturo fra l’allora ventunenne milanese e l’autorevole poeta toscano. Il fitto scambio epistolare, finora inedito, che lo documenta permette di seguire da vicino il cammino lungo la «difficile strada» della poesia nel quale Betocchi accompagna il giovane corrispondente, in un confronto franco e mai formale. Il configurarsi come prezioso testimone di un fervido laboratorio poetico non esaurisce il valore del carteggio, assicurato altresì dall’ampiezza di orizzonte e dalla costante tensione morale di una nobile conversazione che spazia dalle vicende personali e familiari alla realtà culturale e storica dell’Italia contemporanea fino alle grandi questioni esistenziali e spirituali sulle quali si interrogano i due interlocutori.
«Caro signor Betocchi, non credo che potrò mai avere un maestro migliore di Lei: glielo dico con tutta la sincerità di cui sono capace».