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Il clero e la ricerca di parole che danno vita

07 febbraio 2024

Il clero e la ricerca di parole che danno vita

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Una parola umana, capace di parlare il linguaggio della vita, fondata sull’ascolto e, per questo, veramente cristiana. Parte da questa esigenza la seconda edizione del corso di aggiornamento “Parole che danno vita. Parola cristiana e mondo della vita”, organizzato lunedì 5 febbraio dal Vicariato per la Formazione Permanente del Clero della Diocesi di Milano insieme a “La Rivista del Clero Italiano”, il mensile di aggiornamento pastorale e cultura religiosa pubblicato dalla casa editrice Vita e Pensiero.

«Il tema scelto per questa giornata nasce da un confronto tra i membri della redazione della Rivista e da una équipe della Formazione permanente del clero di Milano», ha spiegato Ivano Valagussa, vicario episcopale per la Formazione permanente del Clero, aprendo i lavori dell’incontro. «In particolare, gli anni subito dopo la pandemia sono stati caratterizzati da un intenso ascolto del clero diocesano che l’arcivescovo Mario Delpini ha realizzato attraverso una serie incontri da cui è emersa la necessità di una parola che tocchi la vita. Lo stesso nostro ministero appartiene a quella parola che è “buona notizia”. Eppure, sperimentiamo come le nostre parole, anche nella preghiera, nella predicazione, nella liturgia, sembrano scontate. Sentiamo il bisogno di rivisitare la nostra comunicazione, il nostro linguaggio perché sia più vicino alla gente e offra parole capaci di unire».

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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Ne è convinto anche il direttore della “Rivista del Clero Italiano” Giuliano Zanchi. «Nei luoghi della vita abbiamo l’impressione qualche volta di parlare un dialetto. Di non poter contare su una lingua comune. La vita oggi corre svelta e facciamo fatica a starle dietro, specie le vite cristiane che sembrano più affaticate di altre». Ecco perché, ha aggiunto Zanchi, «mantenere la parola significa anzitutto ritornare umilmente nel luogo della rivelazione che per noi ha il suo appuntamento rigeneratore nel comprendere nuovamente le scritture. Ma mantenere la parola significa anche parlare la lingua della vita, dell’esperienza, delle cose che si danno, dello scambio simbolico, della cultura e dei saperi, per non diventare ingenui fornitori di risposte senza domanda».


Una riflessione sulla parola, dunque, affrontata su diversi piani disciplinari. A partire dal contributo di Pierangelo Sequeri, che ha inquadrato la questione di una parola efficace, eloquente e vera dentro una cornice teologica. È toccato all’attore Gioele Dix analizzare la questione sul piano dell’umorismo della parola, specialmente quella biblica che dimostra di essere qualche volta ironica e umoristica per non diventare ideologica e dispotica. E poi è stata la volta di letterati e romanzieri, come Mariapia Veladiano e Daniele Mencarelli che hanno cercato di far capire che cosa vuol dire estrarre le parole dalle vicende reali della vita. Ultimo aspetto analizzato è stato quello della parola che ha il compito di guarire in senso spirituale e clinico. A confrontarsi sono stati padre Bernardo Gianni e l’analista Francesco Stoppa che, dalle loro prospettive distanti ma contigue, hanno portato la l testimonianza di chi nel quotidiano si occupa della cura dell’anima.


Insomma, parole che guariscono, che riconciliano, che restituiscono coscienza, fiducia e coraggio. Un modo, quindi, «per riflettere sul nostro desiderio di rendere ancora autorevole la testimonianza credente» e «far capire che la formazione dei preti deve trovare l’aspirazione anche al di fuori dei consueti saperi ecclesiastici, confidando in una fraternità ecclesiastica che dà ossigeno alla fiammella dei nostri discorsi», ha chiosato il direttore della “Rivista del Clero Italiano”.

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