Sandro Veronesi è un noto e affermato scrittore, autore di fortunati romanzi come Caos calmo e Il Colibrì (con i quali vince il Premio Strega negli anni 2006 e 2019). Vincitore di molti altri prestigiosi premi letterari, Veronesi è una figura di primo piano dell’attuale panorama letterario. Teresa Bartolomei, membro della redazione della Rivista del Clero Italiano, lo intervista per la rubrica «Senti chi parla», con l’intento di mettersi in ascolto di un intellettuale di rara sensibilità che, pur non credente, nutre uno sguardo aperto e indagatore verso il cristianesimo e i suoi fondamenti, restituendone un’immagine interessante e per alcuni aspetti anche sorprendente. È anche questo modo, forse uno dei più interessanti, per attivare il vero senso di un ascolto sinodale. Vi presentiamo un estratto dall’intervista, che potete leggere integralmente qui.
Veronesi: «Come racconto nella premessa di Non dirlo, il libro che ho dedicato al Vangelo di Marco, e da cui ho tratto anche uno spettacolo che ho portato in giro per l’Italia, questo Vangelo l’ho letto per la prima volta in una vecchia Cinquecento, mentre ero in coda alla Cecchignola per fare la revisione. Uscendo ne avevo trovato una copia nella cassetta della posta. Era un dono di Giovanni Paolo II a tutte le famiglie romane per il Giubileo. Restai profondamente colpito, leggendo, ma lì per lì pensai: guarda il Papa che tirchio, che ci ha dato una versione abbreviata, in cui mancano tante cose come il Discorso della montagna, con l’annuncio delle Beatitudini. Sono andato a controllare e mi sono reso conto che ero io che sbagliavo. È stato sconvolgente, per me, scoprire che i Vangeli sono quattro e molto differenti tra loro, che una religione monoteista di successo ha lasciato quattro versioni diverse della stessa storia, invece di fare come Islam e Giudaismo, che hanno accuratamente selezionato un’unica versione da tramandare. La Chiesa poteva fare la stessa scelta. Poteva per esempio accogliere solo la storia di Luca, scritta per i già convertiti. Invece ha accolto quattro narrazioni differenti, mantenendo una tensione interna, perché le discrepanze possono anche turbare».
«Avevo sentito parlare del Concilio Vaticano II, ma non avevo capito in che cosa mi riguardasse. Invece, studiando il Vangelo di Marco, ho capito la novità fondamentale della Dei Verbum: fino a quel momento le Scritture venivano lette con il filtro stretto dell’autorità. Il Vangelo non era una fonte cui attingere liberamente, privatamente, spontaneamente, ma accessibile solo attraverso la mediazione di un’interpretazione precostituita. A partire dal Concilio puoi riflettere liberamente sul testo sacro, anche se non sei un esegeta».
«Ho incontrato tanti sacerdoti che ascoltano e anzi promuovono l’interpretazione della parola biblica anche da parte di un non credente come me, che usando una chiave non religiosa si è fermato a riflettere sull’aspetto narrativo del Vangelo di Marco. Questo lo dobbiamo al Concilio».
«Io ho avuto un’educazione cristiana, ma poi, come tanti mi sono allontanato presto, senza drammi, con una certa indifferenza, per riscoprire in età matura che c’è questo frutto a disposizione di tutti. Un frutto da guardare, studiare, gustare, anche se non siamo credenti. Perché si può riconoscere la grandezza di Gesù anche senza credere che è il Figlio di Dio. Gesù è una figura di riferimento per tutti, una figura immensa e immenso è tutto quello che è stato costruito intorno a lui, anche le narrazioni su di lui».
«Devo dire che la lettura del Vangelo a bocconcini, come si fa nella messa, non valorizza il Vangelo. Per apprezzarlo bisogna conoscerlo nella sua integrità. Solo così si può capire che tutti e quattro i Vangeli sono scritti molto bene, in quattro stili radicalmente diversi, ma tutti molto validi dal punto di vista letterario. Se non era scritto bene, il Vangelo non durava».
«Anche il Vangelo di Giovanni, che è un testo visionario, difficile, è formidabile dal punto di vista della scrittura. Si prenda per esempio la storia della resurrezione di Lazzaro. Non capisco come si possa ridurre questa narrazione grandiosa alla battuta dell’«Alzati e cammina». La storiella dell’«Alzati e cammina» è una mistificazione. Se si va a leggere il Vangelo di Giovanni, si trova una storia durissima, pulp. Gesù si muove solo al quarto giorno dopo la morte di Lazzaro. Quando arriva alla tomba, Lazzaro è morto da cinque giorni, il suo il corpo già puzza e nessuno vuole andare ad aprire il sepolcro, da cui esce fuori una mummia. È una scena sconvolgente. La resurrezione è una cosa che fa paura. Del resto, tutto Giovanni è sconvolgente, non per niente ha scritto (o gli è attribuita) l’Apocalisse. Leggi e ti chiedi: perché Gesù piange mentre fa il miracolo? Non capisci il perché, ma è lì che sta la bellezza. È una grande sceneggiatura: Gesù piange mentre fa il miracolo di far risorgere l’amico. Non viene spiegato perché. Gesù fa il miracolo piangendo: è questa la bellezza».
«È questo che mi ha in primo luogo interessato nel Vangelo. La sua scrittura. Capisco che per un credente è un aspetto secondario. Per il credente la bellezza da cui sono partito io è probabilmente un dettaglio irrilevante rispetto alla potenza spirituale. Ma per me i Vangeli sono anzitutto una grande lezione su come scrivere».
Una lezione del Vangelo: la sofferenza è di tutti
D. - Malgrado questo rapporto così intenso e lungo con il Vangelo, vent’anni di lettura e di studio, lei però non si è convertito.
R. - «È così: io non mi sono convertito. Questa frequentazione di Cristo nel Vangelo mi ha appassionato, senza portarmi alla fede. Però è successa una cosa enorme: è cambiata la mia opinione sulla fede degli altri. Non ho trovato la mia, ma ho trovato comprensione e rispetto per quelli che credono».
«Ho capito quanto è importante, proprio perché a me questa fede è negata. Prima non la consideravo rilevante. Io sono stato anche cresimato, ma è stato normale per me essermi allontanato. Oggi capisco invece quanto significa la fede per quelli che ce l’hanno. E questo per me è stato molto prezioso. Non avrei trovato questo se non avessi frequentato il Vangelo, l’oggetto della fede. È una cosa molto strana di cui sono felice, l’ho ottenuta senza chiederlo».
L'intervista completa è sul numero 5/2023 della Rivista del Clero Italiano