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Il dialogo riparativo

18 luglio 2024

Il dialogo riparativo

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Sono arrivati al traguardo finale del diploma, i primi sei studenti su trenta iscritti al Master in Giustizia riparativa e mediazione penale, nato nel campus di Brescia dall’unione di competenze psicologiche e giuridiche.

Si tratta di una proposta didattica che ha cercato di rispondere a un bisogno concreto esplicitato dalla Riforma Cartabia, varata ad ottobre 2021. Ovvero quello di formare operatori con competenze psicologiche e giuridiche trasversali.

Da un lato il rigore scientifico «con docenti italiani e stranieri in grado di trasmettere le conoscenze più aggiornate in materia; dall’altro la traduzione operativa dei modelli d’intervento nell’ambito di progetti sperimentali» spiega Giancarlo Tamanza, direttore del master e professore di Psicologia clinica della Facoltà di Psicologia.

Decisamente interessanti sono risultati, per il contenuto innovativo, i tre progetti realizzati all'interno di collaborazioni dell’Università Cattolica. Il primo realizzato da Wanda Marra e di Adriana Vignoni, dedicato a come curare la comunità dopo il Covid e che ha preso in esame medici e parenti morti di coronavirus, in collaborazione con il servizio di Clinica/Cerisvico e Simeu (Società italiana di medicina di emergenza e urgenza).

Per definire il contesto in cui si inserisce la riforma Cartabia, Marra prende spunto dalle parole dello scrittore francese Emmanuel Carrere nel libro V13 dove all’inizio del processo per la strage del Bataclan afferma che "c’è la necessità di ricomporre una frattura sociale, di arrivare a una riparazione". E visto che si è detto che il Covid ha fatto più morti di una guerra, è necessario attuare una giustizia di guerra per curare le ferite personali e speciali. Si è partiti con un questionario e poi con un incontro, prima singolo e poi con i due gruppi uniti, con i protagonisti disposti in cerchio per raccontare le emozioni del loro vissuto, il rancore e la rabbia e per arrivare ad un‘energia circolare che porta alla distensione.

Si è trattato di un intervento pilota, prima di tutto in ambito sanitario, che può essere utilizzato per affrontare problemi in un singolo ospedale o magari per le problematiche tra un ospedale e il suo territorio di riferimento.

«Nella giustizia riparativa vincono l’incontro e l’ascolto dei bisogni della vittima – spiega Adriana Vignoni - è una rivoluzione copernicana. Senza sostituire il procedimento penale ma affiancandosi ad esso ove le parti vi acconsentano, si crea spazio in cui prestare attenzione a bisogni e responsabilità dei singoli e della comunità, con obiettivi di reintegrazione delle parti, ricostruzione del rispetto dei beni offesi e maggior sicurezza sociale».

L’evento storico è irreversibile. Nulla sarà più come prima che il fatto accadesse. Si lavora proprio a partire da questa “perdita di prima” e si scommette sulle relazioni, promuovendo la partecipazione attiva e l’individuazione, nel dialogo mediato, di ciò che le parti ritengano debba essere riparato in conseguenza dell’offesa. Si recupera uno sguardo sulle persone quali soggetti, interpellati ad attivare capacità, invece che oggetti di indagine, osservazione e trattamento.

La riparazione è qui un’azione positiva con valenza più pregnante del risarcimento del danno, individuata consensualmente nell’incontro con l’altro e non imposta coercitivamente da terzi.

E così è stato per Maria Gabrielle Vincenzi, un’assistente sociale del Tribunale per i minorenni che ha svolto il suo tirocinio all’Associazione Carcere e Territorio (ACT) di Brescia lavorando al progetto “RI.PA.RA.RE - Ricucire parti, rammendare relazioni”: «Il Progetto si pone l’obiettivo di inserirsi e di integrarsi in questo processo di evoluzione, con la generazione di occasioni per applicare modelli riparativi anche all’interno del carcere, a favore della comunità carceraria, in tutte le sue articolazioni, con particolare attenzione ai detenuti più giovani, e come matrice naturale del percorso trattamentale».

Sono minori autori di reato in un contesto di gruppo anche i partecipanti al Gruppo di parola gestito da Luca Pallini all’Istituto di Mediazione di Brescia, condotto in parallelo ad uno dedicato alla comunità in cui il fatto reato si è consumato. I ragazzi, che hanno provocato l’incendio di una scuola circa un anno prima dell’inizio del percorso, hanno partecipato ad incontri prima individuali con i propri genitori e successivamente, da novembre a marzo 2024, ad incontri di gruppo che hanno portato ad un circle in cui si sono incontrati con alcuni rappresentanti della comunità.

Il lavoro dei mediatori risulta quindi fondamentale per favorire il dialogo riparativo tra vittima e autore di reato. Quella che la Cartabia ha chiamato Restorative Justice.

Un articolo di

Antonella Olivari

Antonella Olivari

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