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La storia di Flavio, dalla pena (alternativa) alla tesi “riparativa”

01 agosto 2022

La storia di Flavio, dalla pena (alternativa) alla tesi “riparativa”

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La storia di Flavio Patriarca è raccontata nel numero 3-4/2022 della rivista “Presenza”, fresco di stampa, che dedica ampio spazio alla “Fabbrica del futuro”: l’università si conferma, anche in periodo di crisi, l’investimento più promettente sui giovani. Allegato al periodico l’inserto dal titolo: “Così piccola e fragile. Prendersi cura della democrazia”, un tesoro da proteggere contro populismi e autocrazie, con il contributo di 14 esperti dell’Università Cattolica.


C’erano proprio tutti il 21 aprile in Cattolica per assistere alla seduta di laurea di Flavio Patriarca. C’era la sua famiglia, suo punto di riferimento, anche nei momenti difficili. C’erano i magistrati Anna Zappia, Marilena Chessa, Rosanna Calzolari, che l’hanno seguito durante il procedimento che l’ha portato di fronte alla giustizia. C’era l’assistente sociale Silvia Sacerdote, che ha sempre avuto le parole giuste al momento giusto. C’era il responsabile della comunità Arimo Alberto Dal Pozzo, che gli ha dato sempre fiducia. C’era il preside del liceo scientifico Enrico Fermi Giuseppe D’Arrigo, che gli ha trasmesso la passione per la conoscenza. C’erano la professoressa Claudia Mazzucato, relatrice della sua tesi, e i professori Matteo Caputo, Francesco D’Alessandro e Alain Dell’Osso, che, insieme agli altri docenti della Cattolica, l’hanno sostenuto insegnandogli l’amore per il diritto e la giustizia.

«È stato molto emozionante. Avevo immaginato quel momento per tanto tempo e dieci anni fa non avrei mai creduto sarebbe stato possibile. Insieme, abbiamo dato attuazione al principio di rieducazione inserito nell’articolo 27 comma 3 della nostra Costituzione». La discussione della tesi di laurea in Giurisprudenza, conseguita con 110/110 e perfettamente in corso, è stata per Flavio uno dei giorni più “incredibili” della sua vita. Una storia di cadute e di rialzate. Una storia di sofferenza e di speranza. «Era il 17 aprile del 2013 quando sono stato portato nel carcere minorile Cesare Beccaria in esecuzione di una misura cautelare emessa nei miei confronti dal magistrato Anna Zappia». 

In carcere Flavio resta solo dieci giorni perché ottiene quasi subito la modifica del provvedimento dopo la richiesta di poter continuare gli studi al liceo e trasferirsi nella comunità Kayros. «Ero comunque ristretto nella mia libertà personale: potevo incontrare i miei genitori solo una volta a settimana durante un colloquio di un’ora, non avevo la possibilità di utilizzare il cellulare e avere contatti con l’esterno se non scrivendo lettere, potevo allontanarmi esclusivamente per andare a scuola, con orari prestabiliti». 

La scuola, dunque, una delle ancore di salvezza per Flavio. Dove un ruolo cruciale l’ha giocato il preside dell’Enrico Fermi Giuseppe D’Arrigo. «Quando gli è giunta la notizia di ciò che mi era capitato, ha immediatamente scritto una meravigliosa lettera indirizzata all’autorità giudiziaria in cui si mostrava desideroso di accogliermi nuovamente nella sua scuola, e in cui metteva in risalto le mie qualità, dichiarando che era di fondamentale importanza che non perdessi l’anno scolastico». Con grande impegno, costanza, determinazione Flavio è riuscito a recuperare l’anno e a sostenere il diploma di maturità presentando una tesina dedicata all’istituto della “messa alla prova”, di cui lui stesso beneficiava. «Dopo sette mesi di misura cautelare, in una condizione grandemente restrittiva e di sofferenza, ho chiesto di poter godere di quel provvedimento. La durata decisa è stata di un anno e otto mesi: il primo anno l’ho trascorso nella comunità Arimo, gli ultimi otto mesi a casa. La messa alla prova è un istituto che si sviluppa in progetto: lo stesso, se concluso positivamente, come è stato nel mio caso, permette di estinguere il reato». 

Un percorso che Flavio ha voluto raccontare all’esame di maturità. «Mi è stata di grande aiuto il magistrato Rosanna Calzolari, ai tempi giudice del tribunale minorile e attualmente al tribunale di sorveglianza, che ho intervistato per la mia tesina e con cui sono entrato in contatto con l’aiuto del magistrato Marilena Chessa, il giudice che mi ha seguito durante tutto il percorso di messa alla prova dichiarando poi estinto il mio reato». 

Dopo il diploma nel 2016 arriva l’iscrizione all’università, in Cattolica. «Ho scelto di intraprendere gli studi in Giurisprudenza per il desiderio di fare qualcosa, anche dal punto di vista tecnico, che potesse essere utile a costruire un sistema migliore. Mi sono informato sui vari atenei milanesi e alla fine ho scelto l’Università Cattolica perché mi sembrava fosse più adatto a me. Ed è stato così. Qui ho trovato un ambiente accogliente e stimolante. Ho coltivato amicizie importanti che continuano tuttora. Ho conosciuto professori estremamente competenti». 

L’incontro più significativo è stato con la professoressa Claudia Mazzucato, docente di Diritto penale e tra le massime esperte in Italia di giustizia riparativa. «Il suo sostegno, la sua umanità, il suo modo di trasmettere scienza e passione hanno incarnato quello che credo sia lo spirito più alto dell’insegnamento. Mi ha dato moltissimo. Inoltre, la giustizia riparativa è apparsa fin da subito in linea con tutto quello che mi era successo. Come insegna il professore di Diritto penale Luciano Eusebi: nessuna pena può cancellare il reato ma sulla frattura dei rapporti intersoggettivi rappresentata dal reato si può ricostruire».  

Lo scorso marzo al termine di un convegno sulla giustizia riparativa, Flavio e altri suoi colleghi, tutti tesisti della professoressa Mazzucato, hanno avuto l’opportunità di conoscere la ministra della Giustizia Marta Cartabia a margine del convegno nazionale conclusivo del progetto Re-Justice, finanziato dall’Unione Europea. «È una persona che stimo moltissimo, anche per quello che sta facendo per l’adozione di una disciplina organica sulla giustizia riparativa, tema a cui ho dedicato alcuni passaggi della mia tesi dal titolo “L’utilizzo della restorative justice in contesti di corporate violence. La tutela penale della sicurezza sul lavoro”. Insieme all’argomento della tesi, ho fatto qualche accenno a una parte della mia storia». 

Flavio, che ha già cominciato un tirocinio in uno studio legale di diritto penale, ha un sogno nel cassetto: diventare avvocato penalista per «restituire speranza» a chi sta vivendo situazioni simili a quelle che ha vissuto lui in passato. «L’intraprendere scelte di vita differenti ha fatto sorgere in me due sentimenti: il primo, di serenità nel vedere la mia vita indirizzata verso lidi migliori; il secondo, di tristezza nel vedere rovinate le vite delle persone incontrate in quei posti e che non hanno avuto gli spunti necessari per cambiare, complice forse un sistema che non sempre funziona bene». Per Flavio, invece, il cambiamento è avvenuto davvero. Per merito suo, ma anche per merito delle persone giuste incontrate lungo il suo cammino che gli hanno dato fiducia senza mai voltargli le spalle. «Questi incontri hanno gettato una luce di speranza sulla mia vita e mi hanno aperto a un mondo nuovo. Ho deciso di raccontare la mia storia per far sapere a tutti che cambiare è possibile. Un giorno la professoressa Mazzucato mi ha detto: il passato ha il suo posto e nutre, ma non ipoteca, il futuro».

Foto: Da destra, Marilena Chessa (giudice); Rosanna Calzolari (giudice); Claudia Mazzucato (professoressa Claudia Mazzucato); Anna Zappia (giudice); Silvia Sacerdote (assistente sociale)
 

I corsi dell’Università Cattolica

«A dispetto del nome, la giustizia riparativa non è la giustizia della riparazione delle conseguenze del reato: è la giustizia dell’incontro con gli “altri difficili”. Anzi: con gli altri più difficili». Claudia Mazzucato, docente alla facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Ateneo, è in prima linea tra coloro che investono sul potenziale trasformativo della restorative justice. «Per insegnarla occorre essere coerenti con il metodo e con il messaggio: apertura, dialogo, scoperta dell’inatteso» - afferma. Così, i due corsi di giustizia riparativa impartiti nell’Università Cattolica - e censiti dallo European Forum for Restorative Justice fra i pochi (ancora) corsi curricolari in materia - assecondano modalità didattiche dialogiche e propongono incontri: esperienze pratiche, visite di luoghi, ascolto di testimonianze, dialoghi riparativi. 

«Fin dai primi percorsi di giustizia riparativa raccontati ne Il libro dell’incontro (Saggiatore, 2015) gli allora studenti sono stati interlocutori fondamentali: i “primi terzi”, accanto a vittime e responsabili della lotta armata impegnati nei vertiginosi incontri riparativi. Negli ultimi anni, e dopo un memorabile circle della comunità universitaria con i testimoni del Libro dell’incontro, gli studenti hanno preso parte annualmente a dialoghi riparativi con alcuni detenuti della Casa di Reclusione di Milano-Opera in collaborazione con l’associazione “InOpera”». Da questi incontri e dialoghi sono nate “vocazioni” alla giustizia riparativa di futuri giuristi, cooperanti internazionali, diplomatici, operatori sociali: per limitarci all’anno accademico appena concluso, la vocazione di Flavio, con la sua storia particolare e in sé riparativa, ma anche quelle di Beatrice, Marta, Giulia, laureatesi con tesi molto originali che hanno approfondito, per esempio, le dimensioni costituzionali della restorative justice, il rapporto tra giustizia riparativa e nonviolenza, il ricorso alla giustizia riparativa nel caso di errore giudiziario. 

«Una tesi è dedicata a V., “altro difficile” incontrato a Opera. Beatrice ha preso parte ad alcune attività del progetto europeo Re-Justice sulla formazione della magistratura alla giustizia riparativa; Marta è pronta a partire con i Corpi civili di pace; Giulia - che sarà a Sassari al convegno internazionale del Forum europeo per la Giustizia ripartiva - è determinata a studiare i modi per realizzare l’incontro della vittima della giustizia con chi l’ha erroneamente condannata. L’anno scorso, Sara ha vinto il premio del Comune di Sansepolcro e dell’Associazione Cultura della Pace per la sua bella tesi sull’ubuntu». Tutte tesi scelte autonomamente dagli studenti, «il primo passo di un cammino che intende proseguire nell’approfondimento di modi inattesi di rendere giustizia e fare la pace».
 

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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