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Il futuro della città. Lo smart working nelle imprese al tempo del Covid

13 gennaio 2022

Il futuro della città. Lo smart working nelle imprese al tempo del Covid

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Anche se è stato disciplinato dalla legge solo nel 2017, è durante il periodo pandemico che lo smart working si è rivelato in tutta la sua importanza. In realtà quanto sperimentato durante i lockdown del 2020 non è stato un vero e proprio smart working ma più un co-working, in quanto la priorità non è stata data tanto ad una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa quanto ad individuare tecniche di contenimento dell’emergenza sanitaria che contemperassero la tutela della salute dei lavoratori con le esigenze professionali (ove compatibili con il lavoro a distanza).

È quanto è emerso durante il webinar su “Il futuro delle città. Smart working nelle imprese milanesi al tempo del Covid-19”, organizzato l’11 gennaio dall’Istituto Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica, Acli e con il patrocinio del Comune di Milano.

Si è trattato, quindi, di uno strumento necessitato dalla situazione emergenziale e non dallo sviluppo di una nuova modalità che va a modificare consolidate tradizioni e abitudini, oltre che a implementare un cambio culturale rivoluzionario nel settore lavorativo. Ciò ha provocato un’ampia discussione su vantaggi e disagi relativi allo smart working in prospettiva di progettazione del lavoro del futuro e su come vita e lavoro possano trovare soluzioni di coesistenza.

A introdurre i lavori del webinar è stato il professor Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica e coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani, il quale ha inquadrato i contributi dei partecipanti nell’ottica di capire ciò che sta cambiando per essere preparati ad organizzare il presente in vista di un futuro migliore.

A presentare la ricerca sullo smart working nelle imprese milanesi al tempo del Covid-19 sono state le curatrici Ivana Pais dell’Università Cattolica e Cecilia Leccardi della Acli. Tale indagine, condotta per Laboratorio Futuro da IPSOS, ha riguardato 400 aziende e 800 lavoratori milanesi.

 

Tra i dati emersi risulta che le aziende della provincia di Milano che non ritengono possibile il lavoro da remoto sono il 43%: sono localizzate prevalentemente nei Comuni della Provincia di Milano (50,8% vs 43,4% nei Comuni della prima fascia e 36,6% nella città di Milano); sono di piccole dimensioni (43% delle aziende da 1 a 49 addetti vs 19% delle aziende sopra i 50 addetti); operano nel settore del commercio (77,2% vs 48% nell’industria e 32% nei servizi); hanno incontrato importanti difficoltà durante l’emergenza pandemica (56% tra coloro che hanno interrotto l’attività e 48,9% tra le aziende l’hanno ridotta drasticamente vs 26,7% tra quelle che non hanno subito modifiche, 30,5% tra le aziende che hanno ridotto solo parzialmente le attività e 31,5% tra quelle che hanno aumentato l’attività); hanno oltre 20 anni di attività (48% vs 38,1% delle aziende con meno di 20 anni).

Inoltre, anche tra le aziende che ritengono possibile lo smart working, il 47,4% ritiene che sia applicabile solo per alcune funzioni e livelli aziendali. La valutazione media complessiva dell’esperienza dello smart working nel periodo emergenziale è pari a 6,64 in scala da 1 (pessimo) a 10 (eccellente). Le aziende più soddisfatte sono quelle dei comuni della prima fascia, di grandi dimensioni, nel settore del commercio.

Rispetto alla valutazione delle opportunità offerte dallo smart working, quella che raccoglie punteggi più elevati tra le aziende riguarda i benefici complessivi per i lavoratori (6,83), seguita da produttività del lavoro (6,69), bilanciamento vita lavorativa-vita privata (6,61) e contenimento costi aziendali (6,58).

Ivana Pais, che si è occupata della parte relativa alla città, nel suo intervento ha tranquillizzato sul fatto che le evidenze emerse smontano le preoccupazioni di un possibile svuotamento delle città dato che le aziende non rinunciano al radicamento della loro collocazione. Sulla figura dei lavoratori si è soffermata Cecilia Leccardi che ha illustrato vari aspetti dello smart working, di uso più comune nelle aziende di grandi dimensioni e più proficuo per chi ha una maggiore qualifica professionale. Un dato inaspettato emerso nella ricerca: per le donne, maggiori fruitrici al fine di conciliare meglio vita e lavoro, non ha raggiunto le aspettative per cui è stato messo in essere. L’indagine mostra infatti che il lavoro agile, nato proprio per rispondere a esigenze di conciliazione più spesso espresse dalle donne, nella formula forzata ed emergenziale degli scorsi mesi, ha penalizzato proprio le lavoratrici, su cui ricadono ancora i carichi di cura. In controtendenza rispetto alle previsioni anche il fatto che sia stato più apprezzato dagli over cinquanta che dai più giovani.

Tra i relatori hanno offerto un approfondimento delle tematiche della ricerca due amministratrici locali delle maggiori e più significative città italiane: Alessia Cappello, assessore allo Sviluppo economico e alle Politiche del lavoro del Comune di Milano, e Claudia Pratelli, assessore a Scuola, Formazione e Lavoro del Comune di Roma.

L’assessore Cappello ha messo in evidenza come lo smart working richieda un cambiamento culturale relativo a lavorare per obiettivi, a trovare un maggior equilibrio tra vita privata e professionale nella gestione del tempo e della vita di relazione.

L’assessore Pratelli ha fatto riferimento alla responsabilizzazione di ciascuno in un percorso non connotato dal controllo verticale ma dalla conoscenza e qualità in un contesto di scambio e confronto per favorire intelligenza collettiva e processi di innovazione.

In un’ottica sovra-cittadina si è collocato l’intervento di Paolo Ricotti, presidente nazionale patronato Acli, il quale si è soffermato sulla necessità di andare oltre l’emergenza e di non utilizzare solo in difesa strumenti nuovi che possono migliorare l’organizzazione lavorativa e la vita delle persone.

A chiudere i lavori è intervenuta Cristina Tajani, consigliere esperto Ministero del Lavoro, la quale ha rilevato come nell’ambito dello smart working esista una diversa percezione tra settore pubblico e privato, e pertanto è importante per una nuova organizzazione del lavoro disporre di leggi, contrattazione collettiva e politiche urbane, regolamentare il diritto alla disconnessione, all’uso delle tecnologie, agli aspetti degli spazi, dei buoni pasto con l’obiettivo fondamentale di produrre crescita, sviluppo e benessere per il sistema e per le persone. Poiché, come conferma la ricerca, «la sperimentazione forzata effettuata nel primo lockdown potrebbe favorire processi di riorganizzazione degli spazi e dei tempi di lavoro» al fine di valorizzare «anzitutto la persona, le sue ambizioni professionali, le sue necessità, il bisogno di relazioni autentiche».

 

Un articolo di

Agostino Picicco

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