È successo più o meno a tutti: alzi la mano chi – da parenti, amici, colleghi – non si è mai sentito chiedere “Quando ti sposi?”, “Quando fai un figlio?”, “E il secondo?”
Domande apparentemente semplici, forse poco più che convenevoli da sfoderare attorno al tavolo delle feste comandate. Ma chi (e come) glielo spiega alla zia Maria che immaginarsi genitori, oggi e in Italia, è complesso, se non proprio faticoso?
Un ragionamento sulla questione lo ha fatto il Laboratorio di Ricerca e Intervento Sociale (LaRIS) del Dipartimento di Sociologia della Cattolica, che lo ha presentato nel corso del XVIII LaRIS DAY dal titolo “Famiglia, giovani e comunità locale di fronte all’inverno demografico”.
Un approfondimento sui fattori strutturali, materiali e culturali che governano il calo della natalità, con un’attenzione alla provincia di Brescia e alle strategie che le comunità locali stanno adottando per mitigarne gli effetti.
«Il tema della scarsa natalità e dell’invecchiamento della popolazione non ha una connotazione emergenziale e drammatica, è una trasformazione a cui dobbiamo adattarci e che come società dobbiamo governare».
A parlare è Diego Mesa, ricercatore in Cattolica, che pone l’accento sull’aspetto culturale della questione. «I dati dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo mostrano che negli ultimi 20 anni a Brescia, ma il trend è anche italiano, è aumentata la permanenza in famiglia dei giovani. La quota di giovani nella fascia 25-34enni che vive ancora in famiglia va dal 43,6% al 46,5%, abitano da soli (dal 7,7% al 12,6%), vivono con coinquilini non familiari (dal 6% all’8%). Diminuiscono invece le coppie giovani conviventi (dal 13,6% all’11,4%) e le coppie con figli (dal 27,9% al 19,4%)».
Le ragioni sono soprattutto economiche: per il 41,8% il costo degli affitti è insostenibile, per il 28,2% manca un lavoro stabile. Incidono anche la prosecuzione degli studi (35,9%) e, per una quota non trascurabile (24%), il sentirsi a proprio agio nella casa dei genitori.
Fidanzamento, matrimonio, figlio 1, figlio 2 «Quelle che per le generazioni precedenti erano tappe di un percorso, oggi sono condizioni a sé stanti».
Essere single non è visto come mancanza o fase di stallo in attesa di un completamento di progetto. Oggi tra i 18 e i 22 anni è single il 40%, tra i 32 e i 34 attorno al 20%.
«Il rapporto è di 1 su 5, molti dei quali non stanno cercando relazioni e non si sentono socialmente mortificati. Ci sono poi le coppie che vivono separate, ognuno a casa propria, e matrimoni child free per scelta, che non vedono l’avere figli come elemento di completamento».
Secondo Vera Lomazzi, tuttavia, questi dati non indicano un disinteresse verso la dimensione familiare. Al contrario «secondo l’European Values Study, per il 64% dei giovani under 34 i figli rappresentano un elemento fondamentale per un matrimonio di successo (+10 punti rispetto al 2008). E secondo l’International Social Survey Programme, per oltre l’80% dei giovani italiani il numero ideale di figli è due o più di due».
«Lo scarto tra desideri e realizzazioni deriva soprattutto da ostacoli strutturali - precarietà lavorativa e retributiva, difficoltà nella conciliazione tra lavoro e cura, accesso limitato ad abitazioni sostenibili, mutuo, affitto - cui si sommano fattori biologici, come l’aumento dell’infertilità maschile legata a condizioni ambientali e quella femminile dovuta all’innalzamento dell’età al primo figlio».
Oltre al ritardo nell’ingresso nel mondo lavoro, nonostante l’Italia sia uno Paesi con meno laureati.
E anche ammesso di aver trovato un lavoro, una casa e un equilibrio... Fino a quando riuscirò a tenere assieme tutti i pezzi? Insomma, immaginarsi genitori in Italia è faticoso ed il fattore economico preooccupa il 50% dei giovani italiani, contro il 35% degli EU.
Delineato il contesto, che fare?
In primo luogo rendere la vita meno complicata a chi i figli ce li ha e spostare alcuni investimenti per rendere più sostenibile il percorso genitoriale.
«Serve un sistema di welfare dove la genitorialità non generi spavento. Il Comune di Brescia, ad esempio, ha investito moltissimo sugli asili nido, ma è un caso isolato» concordano Mesa e Lomazzi. Solo un inizio, considerando che le mamme lavoratrici che a Brescia hanno rinunciato al lavoro nel primo anno di nascita del figlio sono ancora 1200 (in Italia 92mila) e che anche nella virtuosa Leonessa d'Italia, siamo solo a 1/3 dei posti utili negli asili nido disponibili rispetto al numero dei nati».
Posti che, beninteso, hanno senso solo se il costo della retta non equivale o supera lo stipendio del genitore.
C’è poi il tema, nuovo, dei cosiddetti giovani anziani (da 65 a 74 anni) che nel giro di 15 anni arriverà a 200mila unità (+27% rispetto ad oggi). Persone in buona condizione di salute, in grado di avere una vita ricca e autonoma nella cura, sia dei cari sia sociale, e perfino nel lavoro.
Che la soluzione passi anche da lì?
Lo studio è stato patrocinato da Facoltà di Scienze della Formazione, Associazione Italiana di Sociologia (sezioni Educazione), dal Dipartimento di Sociologia, Sociologia per la Persona (SPe), Società Scientifica Italiana di Sociologia, Cultura, Comunicazione (SISCC) e dal Comune di Brescia.