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L’economia a servizio dell’uomo, da Vito a Guzzetti

11 ottobre 2022

L’economia a servizio dell’uomo, da Vito a Guzzetti

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«Al centro delle politiche sociali, economiche e di sviluppo del nostro Paese ci devono essere l’uomo e i suoi bisogni». E il «futuro riscatto» dell’Italia e del Mezzogiorno «si regge sugli stessi principi che il professor Francesco Vito ha consacrato nei suoi studi». Soprattutto in una fase in cui le disuguaglianze sociali aumentano, il Mediterraneo è diventato il «cimitero dei migranti», nell’«indifferenza dei Paesi ricchi, che alzano muri, recinzioni, reticolati, costruiscono lager per bloccare gli emigranti fuori dal loro territorio nazionale».  

A rimarcare l’attualità del pensiero dell’economista, rettore dell’Università Cattolica nei primi anni ’60 e a lungo preside della facoltà di Scienze politiche e di Economia, è l’avvocato Giuseppe Guzzetti, nella Lectio Cathedrae Magistralis pronunciata martedì 11 ottobre in quella stessa aula dell’Università Cattolica, in cui nel 1957 si è laureato in Giurisprudenza, e che ora lo ha insignito del premio internazionale intitolato proprio a Vito. «Ha formato generazioni di giovani, attratti, come lo sono stato io, dalle sue idee controcorrente, innovative», afferma Guzzetti. E aggiunge che lo ha fatto sostenendo «una scelta preliminare dell’economia fondata su motivi etici, al fine di individuare anche le finalità sociali di un sistema economico».

Un’economia a servizio dell’uomo e del bene comune che ha anche ispirato tutta l’opera di Giuseppe Guzzetti, sia nel periodo in cui è stato alla guida di istituzioni politiche, sia nel suo impegno alla Fondazione Cariplo e all’Acri, dove è stato rispettivamente presidente dal 1997 al 2019 e dal 2000 al 2019. «La sua lunga attività ha dimostrato concretamente che è possibile coniugare l'azione politica, sociale ed economica con una dimensione etica», dichiara il rettore Franco Anelli nei saluti di apertura.

Forse per questo è giusto parlare di «quadro di corrispondenze» tra Francesco Vito e Giuseppe Guzzetti. Ne è convinto Guido Merzoni, preside della facoltà di Scienze politiche e sociali, promotrice del Premio internazionale istituito nel 1998. «Entrambi sono stati costruttori di istituzioni», dice. Inoltre, il ruolo svolto da Guzzetti nelle fondazioni, in riferimento al «principio di sussidiarietà», lo collega idealmente a Vito. Come pure la sua forte attenzione al tema dell’«istruzione».

 

 

Sussidiarietà, centralità dell’uomo, solidarietà innovativa: sono questi a detta di Alberto Quadrio Curzio, emerito di Economia politica e presidente emerito dell’Accademia Nazionale dei Lincei, i tratti distintivi dell’attività di Giuseppe Guzzetti, cui va il merito di aver costruito «un modello di Fondazioni che rappresenta una delle più importanti innovazioni di organizzazione sociale del nostro Paese in applicazione della sussidiarietà per uno sviluppo solidale. Esse si configurano come soggetti strutturati delle libertà sociali che ampliano gli spazi della democrazia partecipativa che è, con la democrazia rappresentativa e la democrazia economica, uno dei fondamenti costituitivi di un sistema liberal-democratico e della nostra Costituzione». Cinque, poi, le sue linee innovative: il sostegno a opere umanitarie, scientifiche, sociali, economiche; la promozione di reti sia di co-finanziamento sia di collaborazione funzionale; il contributo alle migliori pratiche con terzietà di giudizio nella selezione dei progetti; l’attitudine a generare effetti di scala e di scopo con iniziative congiunte; la diffusione di professionalità.

Tutti aspetti che, ancora una volta, richiamano a quel principio di «economia a servizio dell’uomo» che era alla base delle ricerche e dell’insegnamento del professor Vito. «Le sue proposte contrastavano la posizione dei sostenitori del “laissez faire”, “laissez passer”, che sostenevano che il mercato finalizzato al massimo del profitto, lasciato alle sue regole, era portatore di sviluppo e di progresso», osserva Guzzetti.

Tesi che sono tornate di grande attualità in tempi recenti. «Quando è caduto il collettivismo comunista, gli economisti del mercato “sovrano”, hanno subito affermato due principi: il mercato ha vinto, lasciate fare al mercato e alle sue regole: la povertà sarà eliminata, le distanze fra le classi sociali si ridurranno, i paesi sottosviluppati del Sud del Mondo, usciranno dalla loro arretratezza. Il secondo principio: occorre puntare sull’economia, prima l’economia; l’infrastrutturazione sociale seguirà, il soddisfacimento dei bisogni sociali sarà garantito. A distanza di alcuni decenni possiamo fare un bilancio di che cosa è successo nell’esserci affidati a questi principi. La povertà è aumentata, la distanza fra le classi sociali si è allargata, i paesi del Sud del Mondo hanno visto aggravarsi il loro sottosviluppo. Migliaia di persone fuggono da queste aree per cercare una vita più umana e degna nei nostri Paesi sviluppati».  Insomma, il mercato e l’economia, «sovrani», hanno reso i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. Per questo, avverte Guzzetti, «i due paradigmi dei mercatisti vanno rovesciati: prima l’infrastrutturazione sociale, lo sviluppo economico seguirà, sarà più solido e duraturo; prima l’uomo, al centro dell’economia non l’uomo sfruttato dal mercato. L’uomo, in questo caso, diventa uno “scarto”, una vittima del mercato come ci ammonisce quotidianamente il Papa Francesco».

Ma lo sviluppo economico di un Paese si fonda anche e soprattutto sull’«accrescimento del capitale umano». Ecco perché «è decisivo intervenire per combattere la povertà delle famiglie, delle persone che sempre più dilaga nel nostro Paese; incrementare i sostegni economici deliberati dal Governo; ma la “povertà educativa infantile” non la si sconfigge con queste misure; è un fenomeno sociale specifico che va affrontato con interventi che poggino sulle “comunità educanti”: comunità che si reggono sulla famiglia, la scuola, gli enti locali, il volontariato».

 

Un articolo di

Katia Biondi

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