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L’impero britannico come precursore della globalizzazione

06 maggio 2022

L’impero britannico come precursore della globalizzazione

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«Questo libro è una storia della questione dei rapporti tra britannici e popoli extra europei». Con queste parole, Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola in Economia e Relazioni internazionali (ASERI), ha introdotto la presentazione del volume Storia dell’impero britannico (1785-1999), di Luigi Bruti Liberati, docente di Storia contemporanea all’Università Statale di Milano che è stato il protagonista, lunedì 2 maggio, dell’ultimo appuntamento del ciclo AserIncontra.

«Un libro ricco di aneddoti, ma non aneddotico», ha continuato Parsi, sottolineando come l’autore non si ponga in una posizione di superiorità rispetto al lettore. Un volume «scritto come gli storici anglosassoni, che riesce a coinvolgere e far immergere», e cita romanzi, cinematografia, serie tv, tutto ciò che circonda l’immaginario dell’impero britannico.

Il libro copre un arco di tempo molto vasto, ricco di avvenimenti, e l’autore ha scelto due date fortemente simboliche come marcatori temporali della sua trattazione: il 1785, l’anno in cui ha inizio, in Gran Bretagna, la lotta per l’abolizione della schiavitù, e il 1999, che segna la fine del mandato presidenziale di Nelson Mandela in Sudafrica. In dieci capitoli, il professor Liberati racconta le storie di un impero che, più di ogni altro, ha legato la sua storia al colonialismo, tema caldo della riflessione storiografica contemporanea e caratteristica fondamentale di un passato con cui, ancora oggi, è difficile rapportarsi.

Bruti Liberati ha ricordato il fatto come il suo obiettivo fosse quello di «parlare del rapporto tra dominatori e dominati, avendo il focus sui dominati», e sottolineare «le contraddizioni immani di un impero colossale, che ha gestito in maniera brillante situazioni anche complesse, ma che aveva il piccolo problema di essere una democrazia liberale». Un aspetto secondo l’autore, problematico da diffondere nel mondo, perché anche i sudditi avrebbero finito per chiederla, come successo in India: «La Gran Bretagna ha esportato tante cose, anche idee. E le idee sono pericolose».

Antonio de Francesco, docente di Storia moderna alla Statale di Milano, ha spiegato come i brevi riassunti, alla fine di ogni capitolo del volume, ricordino la grande narrazione inglese del diciottesimo secolo. In tutto il libro, ha spiegato il professore, «si sviluppa una lettura dell’Impero di doppio profilo: da un lato, si sottolinea come sia stato fortemente segnato dal razzismo e dal colonialismo, dall’altro l’autore non perde occasione per ricordare quanto esso abbia svolto una funzione sotto il profilo politico e civilizzatore, tanto da divenire, con il suo modello di democrazia rappresentativa, un punto di riferimento che avrebbe portato all’India e al Sud Africa contemporanei». Un libro, ha concluso Antonio de Francesco, «articolato, che si legge molto bene, scritto con una penna felice, che rivela la capacità di scrittura di Bruti Liberati e dedicato ad un pubblico largo ma colto».

Da ultimo, Mireno Berrettini, professore di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università Cattolica, dopo aver rimarcato come il volume non guardi alla storia dell’impero bianco e che menzioni più l’Indian National Congress che Winston Churchill, ha sottolineato come un libro sull’impero britannico, scritto da un autore italiano, non sia una cosa comune, ponendo l’accento sul fatto che «non guarda solo a come il Regno Unito abbia contribuito alla globalizzazione, nel senso di costruzione del sistema di relazioni internazionali, ma anche a come abbia impostato e sperimentato modelli di convivenza».

Un articolo di

Filippo Jacopo Carpani

Scuola di giornalismo

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