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L'Ulisse di Joyce e noi, cento anni dopo

02 febbraio 2022

L'Ulisse di Joyce e noi, cento anni dopo

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Primo nella classifica dei 100 migliori romanzi del XX secolo secondo la Modern Library  e con 31,5 milioni di visualizzazioni dell’hastag su Tik tok, l’Ulyssess di James Joyce il 2/2/2022 compie un secolo di vita e continua a essere letto e apprezzato da lettori di diverse età. Tanti sono però anche quelli che dichiarano molto francamente di aver provato a leggerlo senza riuscirci. Pescando dalla rete – soprattutto tra i giovanissimi – «dopo 150  pagine ho capito che non avevo idea di cosa stessi leggendo e ho detto stop»; «I tried so hard to read this and I just couldn’t»; «Illegibile. Leggete l’Odissea piuttosto». D’altronde anche Hemingway aveva ammesso di non averlo letto. Il romanzo insomma continua a far discutere e la sua travagliata storia è ancora appassionante. Per rendergli omaggio abbiamo incontrato Giuliana Bendelli, docente di Lingua e Letteratura inglese dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, autrice del volume-guida Leggere l’Ulisse di Joyce edito da Vita e Pensiero.

Forse non tutti sanno che, pubblicato a Parigi, il 2 febbraio 1922, giorno del compleanno di Joyce – che evidentemente teneva alle coincidenze dei giorni - il libro fu vietato perché ritenuto pornografico. Ci racconta questa storia? 
«La censura dell’Ulisse risale ad alcuni anni precedenti a quelli della sua pubblicazione definitiva. Il romanzo infatti pubblicato a puntate sulla rivista americana «The Little Review» a partire dal 1918 dovette interrompere la pubblicazione nel 1920 dopo il 13° episodio, Nausicaa, querelato per contenuto osceno. L’episodio contiene una descrizione di voyeurismo e autoerotismo da parte del protagonista Leopold Bloom. Tale disavventura  – Joyce non era mai stato fortunato con i suoi libri se si pensa che la pubblicazione della sua raccolta di racconti, Dubliners, a causa di passi ritenuti sconvenienti, era stata ritardata di una decina di anni – comportò un sensibile ritardo della pubblicazione del romanzo e non solo negli Stati Uniti (1934) ma anche in Inghilterra (1936) e soprattutto in Irlanda (1966), la patria dell’autore».

Fino all’arrivo di una grande libraia ed editrice…
«Si, la prima edizione – come ricordava - fu quella pubblicata a Parigi nel 1922 dalla Shakespeare and Company, la famo­sa libreria e casa editrice fondata dall’intellettuale americana Sylvia Beach nel 1919. Tra l’altro nell’edizione americana del 1934 fu inserito il testo della sentenza che aveva revocato l’accusa di pornografia dell’opera».

La sua monografia si apre con un’epigrafe tratta dall’Amleto di Shakespeare: «Pazzia, non c’è che dire, ma non senza un metodo. – Non volete scendere un po’ più a terra, mio signore?», un messaggio sull’autore o ai lettori?
«Senz’altro un messaggio sull’autore. L’Ulisse è solo apparentemente il frutto di una folle, poiché spesso incomprensibile, concezione artistica. La sua scrittura è invece il frutto di un metodo molto rigoroso, per dirla con Borges, quello di Joyce è “un ostinato rigore”. Pensiamo solo all’impianto strutturale basato sullo stretto parallelismo con l’Odissea omerica. La finta pazzia di Amleto ha lo scopo ben preciso di rivelare la verità».

La verità passa dunque dalla follia per Joyce?
«Diciamo che non sempre si raggiunge con il pensiero lineare, o meglio, convenzionalmente lineare. La vita, l’esperienza della vita, ci insegna che i percorsi possono essere molto tortuosi, dei dedali, ed è solo con il ragionamento che ne possiamo uscire. Si tratta di un processo al quale nell’Ulisse siamo invitati a partecipare ed è questo il messaggio per il lettore, che non si deve scoraggiare di fronte alla ‘confusione’ della storia per entrarci invece con la stessa disinvoltura con cui entra nella confusione della vita reale. Solo le storie costruite a tavolino sono facili da seguire ma, come sostiene Virginia Woolf, la collega modernista di Joyce, la vita non è così, «la vita non è una serie di lampioncini disposti in ordine simmetrico; la vita è un alone luminoso, un involucro semitrasparente che ci racchiude dall’alba della coscienza fino alla fine».

Secondo lei le versioni audiolibro – il cui consumo aumenta sempre più - possono aiutare la lettura del famoso "flusso di coscienza"?
«Certamente sì e non solo per apprezzarne l’innegabile musicalità ma anche per essere aiutati a seguire il ritmo e la cadenza della sintassi, non sempre facili da riprodurre. L’intonazione poi è fondamentale per cogliere il senso e riconoscere le voci spesso camuffate nella narrazione che le ingloba in un flusso continuo e non sempre le segnala con l’interpunzione».

"L’Ulisse celebra la vita quotidiana, l’uomo medio, «la vita senza niente di speciale" come ha scritto uno dei traduttori dell’opera, Gianni Celati. Tuttavia "essere democratici non significa dover semplificare a tutti i costi", leggo nel suo libro, e l’Ulisse, al di là dell’innegabile difficoltà del testo, è un’opera di alta letteratura, che – cito ancora lei – "celebra in ogni riga l’arte e il gusto dello scrivere che si tradu­cono nell’arte e nel gusto della lettura". Insomma, bisogna essere lettori forti per avere una chance di capire questo libro?
«Certamente non è un libro facile, non possiamo ingannare i lettori. Anche tra i lettori più allenati ce ne sono molti che considerano l’opera inavvicinabile o la liquidano come se si trattasse di una pretestuosa operazione di vana sperimentazione. Naturalmente la letteratura è soggetta al gusto individuale e questo prescinde da quanto si sia accaniti lettori. Ma a mio parere in questo libro c’è una sfida intellettuale irrinunciabile».

Qual è la sfida?
«L’Ulisse oltre a essere un monumentale contenitore di sapere è anche un’enciclopedia della scrittura. Nei 18 episodi che lo compongono Joyce alterna diverse tecniche: dalla canonica narrazione in terza persona, al dialogo, al monologo; quest’ultimo superbamente elaborato nell’ultimo episodio, interamente dedicato alla protagonista femminile, Molly Bloom. Per non dire della magistrale parodia di tutti gli stili della letteratura inglese proposta nel 14° episodio. Insomma è un vero e proprio compendio di stili narrativi applicati. Scovarli, riderci sopra, apprezzarne la tecnica è davvero stimolante». 

Il romanzo, come è risaputo, si svolge a Dublino, ma cosa intende quando scrive che Joyce «ha costruito una mappa con la psicogeografia della città»?
«La geografia della città costituisce la mappa fisica attraverso la quale si svolgono i vari episodi, ma sottende una mappa psicologica legata ai luoghi stessi. Essenzialmente si tratta della psicologia dei tre protagonisti che la abitano e che si identificano con alcuni luoghi in particolare: la Torre Martello di Stephen, i pub e le strade di Leopold Bloom, la stanza da letto di Molly nella casa di Eccles Street 7; ma anche del vissuto collettivo della città di Dublino che emerge attraverso il filtro della psicologia dei personaggi del romanzo». 


L'intervista completa sul sito di Vita e Pensiero

 



Per chi vuole incontrare l'autrice il 2/2/2002 appuntamento a Milano alla Kasa dei libri alle 18.00 (l.go Aldo De Benedetti, 4) per l'incontro "Buon compleanno, James" (prenotazione obbligatoria scrivendo a mostre@lakasadeilibri.it o telefonando allo 02.66989018).

Un articolo di

Velania La Mendola

Velania La Mendola

Vita e Pensiero

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