Dopo la morte di Masha Amini - la ragazza curdo-iraniana di 22 anni deceduta in ospedale il 16 settembre, tre giorni dopo essere stata arrestata dalla polizia morale - il mondo si divide tra chi demonizza e chi assolve il sistema politico iraniano.
Bianco o nero. Giusto o sbagliato. Sembra facile.
Invece, capire le motivazioni storiche profonde delle rivolte che oggi infiammano i quartieri e le città dell’Iran, non è così semplice.
A superare questa visione dicotomica, esplorando la “scala di grigi” che c’è nel mezzo, ci ha provato l’esperta Giorgia Perletta durante la lezione aperta Iran: capire le proteste in una società che cambia, promossa della facoltà di Scienze politiche e sociali della sede bresciana.
Per tutto il Novecento l’Iran è stato un Paese rivoluzionario.
«Proteste si sono verificate durante gli otto anni del conflitto con l’Iraq per il petrolio, contro l’introduzione del Parlamento nel 1996 e per rimarcare il diritto all’istruzione delle donne, che oggi risultano molto istruite anche se a ciò non corrisponde il tasso di occupazione lavorativa» ha contestualizzato Perletta, introdotta da Damiano Palano, ordinario e direttore del Dipartimento di Scienze politiche.
Le proteste di oggi hanno quindi non pochi precedenti e si innestano su una complessità politica, legislativa e giuridica che ha pochi eguali nel mondo.
A partire dalla composizione estremamente plurale di un Paese che è tre volte più esteso della Francia.
«La maggior parte è persiana ma sono presenti moltissime minoranze etniche e linguistiche, come gli arabi o i curdi. Ciò che rende difficile centralizzare il potere interno, nonostante l’elezione della lingua persiana ad idioma nazionale da parte dell’ultimo Scià».
Lotte interne non hanno mai smesso di riguardare la questione femminile.
Accade perché in Iran, in caso di separazione coniugale, l’affido dei figli è dato automaticamente agli uomini, le donne non possono recarsi all’estero senza essere accompagnate e il tribunale richiede la deposizione di due testimoni per confermare la veridicità delle dichiarazioni (per gli uomini ne basta uno).
Interessante anche la composizione del parterre dei manifestanti.
«Scendono in strada a capo scoperto le donne dai 15 ai 25 anni, ricevendo sostegno dagli uomini e dalle donne velate. Protestano moltissimi studenti delle superiori e delle università. Pochi ma comunque presenti, sono i commercianti e i lavoratori del settore petrolchimico che scioperano per supportare la causa» ha riportato Perletta.
Anche con l’estero i rapporti non sono meno incrinati. Basti pensare a come dopo la rivoluzione iraniana del 1979 (in seguito alla quale cadde l’ultima dinastia monarchica e s’innestò la repubblica Araba) cadde l’ambasciata USA, tutt’oggi chiusa.
La definizione stessa di Repubblica Araba rimanda al destino di un’area da sempre crocevia tra Medioriente e Occidente, due mondi che da sempre si scrutano e competono tra loro.
«Da un lato il termine Repubblica, che racchiude il potere legislativo, l’esecutivo che vuole migliorare le relazioni con l’estero e tutto ciò che dipende dal voto del popolo. Dall’altro l’aggettivo islamico, che marca la forte componente religiosa e che prevede che sia una guida suprema – l’Āyatollāh – a nominare i magistrati (che quindi non sono indipendenti) e a impartire ordini ai corpi militari come la Pasdaram, presenti anche in Stati come la Siria o lo Yemen e mossi da una forte narrazione religiosa».
La differenza tra ieri oggi? «Le proteste non sono coordinate da politica e istituzioni, s’è allargato il divario tra Stato e società» conclude Perletta.